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CI HA provato più di una volta ad uscire dal personaggio, dall’immagine di poeta della cupezza, dell’amore perduto e dell’arcidiavolo del rock. Ci ha provato ma non c’è riuscito, e ancora oggi è pronto a riversare la sua irruenza in quello che si preannuncia l’evento per antonomasia di questa estate. Nick Cave sarà a Matera il 30 maggio 2015. Ma non per sfizio, per visitare la Capitale della Cultura. Per suonare, gettarsi in mezzo ai “fedeli”, condividere la catarsi che lo accompagna da una vita. E sarà l’unica data italiana del tour europeo in “solo”. una data ancora non annunciata sui canali ufficiali.
Solo non significa, ahinoi, lui e il suo pianoforte pieno di cicche e cenere, le poesie e la sua aura destabilizzante. E’ che non sarà con i Bad Seeds ma con buona parte dei suoi compagni di viaggio, Warren Ellis compreso, il barbuto violinista ormai sua spalla da diversi anni.
Un mito vivente della musica contemporanea tra i Sassi, uno che già adesso sta facendo tutto esaurito in tutte le date annunciate per questa estate. La “risposta” della Capitale alle celebrazioni religiose di San Gerardo a Potenza. Due cose completamente distanti, universi inconciliabili.
Perché in un certo senso il “Re inchiostro” è un po’ l’anticristo fatto carne. E’ conosciuto per i suoi eccessi ma anche per una profonda ed animalesca volontà di potenza dietro le parole, sublimi, che vestono le canzoni. Due romanzi e due libri di poesie, un film (20.000 days on earth) uscito poco prima di Natale e una montagna di dischi. E’ questo Nick Cave, il non più giovanotto che dalla lontanissima Melbourne è diventato uno dei poeti contemporanei più violenti, tellurici e inquietanti. Prima con i Birthday Party e poi con i Bad Seeds.
Il bardo di Melbourne dove si ferma muove un’onda incontrollata di persone, di adepti del rock n roll. Sapere che l’animale da palcoscenico per antonomasia è pronto ad incendiare Matera è qualcosa che va quasi al di là di tutto. Vero, l’ultimo suo lavoro “Push The Sky Away” è un insolito cambio di registro: più pacato, con un senso di perdita che lascia tutto al non detto, ma Cave è anche un uomo che ha cambiato più abiti di tanti altri dinosauri del rock.
In fondo i suoi ispiratori sono diversi ma fondamentalmente legati da migliaia di fili rossi. Leonard Cohen, Bob Dylan, Tom Waits, John Cale. Soprattutto Cale e il compianto Lou Reed. La macchina nichilista dei Velvet Underground. Tutti cantori tormentati e in cerca di redenzione. Ma Cave è anche maestro del gotico, tutta la sua vita è così, anche se fuori dall’arte è un tranquillo uomo quasi sessantenne. Ma la storia pesa. Dalla formazione nel selvaggio post-punk nero e cacofonico dei Birthday Party fino alla progressiva costruzione dell’immagine di cantautore maledetto, che guarda al biblico per riportare nel mondo reale immagini contrastanti: amore e disperazione, costante ricerca di una fede religiosa che, però, non esiste. Un’arma per raccontare fuori dall’urgenza politica del momento, dalla necessità di tirare fuori pura e semplice indignazione.
«Direi che difendo il diritto di credere nella possibilità che ci sia un Dio e continuo a pensarla così – disse in una intervista di qualche anno fa – Non sono religioso, né faccio parte di alcuna religione. Man mano che il tempo passa la fede in Dio diventa sempre più indifendibile e difficile per colpa del comportamento delle religioni stesse, sempre più corrotte e ipocrite. Ma per me avere a disposizione degli elementi del divino nelle cose che scrivo è importante non solo da un punto di vista artistico, ma anche personale.
Non posso definirmi ateo insomma, ma nemmeno cristiano».
Per capirci meglio, Cave ha parlato spesso di se stesso come un idolo di cartapesta. Come quando raccontava la sua infanzia tra Moody Blues e David Bowie: «Correvo al piano di sopra. Mettevo su un disco, chiudevo la porta e mi mettevo a saltellare, ad essere il cantante. Cambiavo e diventavo questa persona vicina a Dio».
E’ questo lo spirito. Carnale e irruento, che riempie il palco. Una potenza sulfurea che si manifesta anche quando le cose si calmano. Ed è quello che lo ha reso uno dei cantautori più importanti del nostro secolo. Anche adesso, a 57 anni suonati e la chioma fluente nera. Sarà uno spettacolo poterlo vedere a Matera. Diventerà una traccia importantissima per il percorso culturale della città. Sperando che questa cosa faccia scuola, perché il Sud, da sempre dimenticato dai grandi circuiti dei concerti, ha un disperato bisogno di queste cose.

v.panettieri@luedi.it

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