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Denis Bergamini al mare

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Chi era davvero Donato Bergamini, oggi non è dato più saperlo. Il suo ricordo è stato rimosso e sostituito con quello di un’altra persona. Questo perché da anni ormai, il copione mediatico – e più di recente quello giudiziario – lo ha rappresentato come un sempre allegro, amante delle donne e dunque frivolo quanto basta, incline alla battuta e allo scherzo, spensierato come ogni giovane della sua età.

Uno a cui “piace vivere” come ebbe a dichiarare lui stesso nella sua ultima intervista. “Solare” è con buona probabilità l’aggettivo di più utilizzato da parenti e amici per descriverne il carattere e metterlo in contrapposizione con quella che è raffigurata invece come la sua Nemesi: l’oscura Isabella Internò, donna del Sud gelosa, possessiva e un po’ assassina, divoratrice di uomini in società con la sua famiglia.

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La maggior parte delle cronache assegna a Isabella e Denis questi due profili speculari a partire dal 2011 e da allora sono rimasti in vigore senza essere mai scalfiti: l’angelo e il demonio, il buono e la cattiva, la vittima e il suo boia in minigonna e tacchi a spillo. Tuttavia, quando Bergamini muore, il 18 novembre del 1989, in tanti lo descrivono in modo differente. Già all’indomani della tragedia, il suo allenatore Luigi Simoni ammette in un’intervista Rai che “negli ultimi mesi era triste” e oltre a ricordare il professionista esemplare, ne mette in primo piano il carattere “introverso”.

Padre Fedele Bisceglia, durante l’orazione funebre, si scusa con lui per non averlo compreso: “Mi avevi chiesto di passare a trovarvi a te e a Michele – Padovano, ndr – Mi dicesti: vieni, siamo così soli”. Durante il processo a Raffaele Pisano, il compagno di squadra Francesco Marino dichiara che in quei giorni “stava uscendo da un periodo cupo”.

Un giovanissimo Donato Bergamini all’inizio della sua carriera calcistica

Tutte le donne che hanno avuto a che fare con lui in quegli anni, sia in Calabria che nella sua Emilia, parlano di un ragazzo “schivo”, “educato”, “poco interessato alla popolarità”. Ciò che le colpiva maggiormente erano i suoi modi delicati. Una piccola collezione di lettere da lui scritte nel 1988 a una ragazza delle sue parti e finite nelle mani dei magistrati testimonia il disordine sentimentale di quei giorni. E la sua timidezza. Le scrive di essere passato giorni prima davanti alla sua abitazione, ma di aver pensato che lei non ci fosse dato che le imposte erano chiuse. La diretta interessata ricorda di essersi arrabbiata tantissimo dal momento che si trovava in casa quel giorno. “Perché non hai bussato?” gli dirà in seguito.

Molto semplicemente, non gli veniva facile. “Ti penso sempre” aggiungeva poi in calce alle sue missive. Il Con le persone più adulte di lui era “gentile e rispettoso” e quando parlava con qualcuno si vedeva “che era sinceramente interessato a quello che stavi dicendo, specie se raccontavi dei tuoi problemi personali. Aveva sempre una parola gentile e di conforto”. Un delicato insomma, lontano anni luce dallo stereotipo del calciatore gradasso, fatuo e insensibile. Oscar Montez, l’allenatore che per primo si accorge del suo talento e della sua umanità lo inquadra a modo suo, in termini italo-argentini: “Sei sansazionale” gli ripete. E non si sbaglia.

Quando nell’estate del 1988, Cosenza è ebbra di gioia per la serie B riconquistata dopo 25 anni, lui e i suoi compagni di squadra sono portati in processione nei quartieri della città come tante madonne pellegrine. Ogni giorno uno diverso, con i residenti che li accolgono nelle loro case come eroi. Una ragazza che all’epoca abitava in via Isnardi ricorda la sera in cui il serraglio rossoblù passa da casa sua. Gli altri calciatori si mettono subito a fare baldoria, ma Bergamini no: lui punta la poltrona più vicina e si accomoda lì, addormentandosi in un sonno profondo. Anche il suo ultimo fotogramma noto, quello più tragico, sembra ritrarlo in un momento di riposo. È una delle sue immagini più struggenti, forse la più sottovalutata. Denis è disteso in posizione supina, ormai privo di vita, ma ha le braccia protese in avanti e la testa poggiata su una mano, in posizione di quiete. Neanche nella morte tradisce la sua delicatezza.

Denis Donato Bergamini

Se ne accorge pure il gip Annamaria Grimaldi quando archivia la precedente inchiesta. Proprio la posizione delle sue braccia, secondo il giudice, dimostra che Denis era vivo prima di essere investito, e che quello fu il suo estremo tentativo di difesa: mettere le mani davanti al volto per proteggersi dall’impatto imminente. In caso contrario, sostiene, se davvero qualcuno invece lo avesse posizionato sull’asfalto già da morto, le sue membra sarebbero state disarticolate. Ricorre alla logica il giudice, consapevole che non sarà quello lo strumento in grado di dare un senso alla vicenda. Siamo vicini all’ultima curva.

Non abbiamo chiarito il mistero, ancora non sappiamo cosa sia successo davvero in quel tardo pomeriggio d’autunno al km 401 della Statale 106. Forse, però, abbiamo restituito a Donato Bergamini un po’ della sua originaria personalità. Un passaggio obbligato, perché in questa storia è importante sapere tutto dell’inizio, comprendere chi è veramente il ragazzo che alle quattro di un pomeriggio qualunque di novembre, abbandona improvvisamente il ritiro dove si trovano tutti i suoi compagni di squadra. E parte per l’ultimo viaggio della sua vita.

I funerali di Bergamini con in prima fila padre Fedele Bisceglie e Gigi Simoni
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