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Il momento della riesumazione del corpo di Denis Bergamini

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La nuova perizia eseguita sul corpo di Bergamini è il punto di partenza dell’inchiesta, ma anche il suo punto d’arrivo. Con quell’accertamento, infatti, la Procura ritiene di aver dimostrato che il calciatore sia stato ucciso, soffocato con un cuscino o con un sacchetto di plastica.

A tali conclusioni, dopo la riesumazione del cadavere, arriva un collegio formato dall’anatomopatologa Carmela Buonomo e dai due suoi colleghi – la dottoressa Maria Pieri e il professor Antonello Crisci – supportati, con ruoli marginali, dal tenente colonnello dei Ris, Andrea Berti, e dal maresciallo Marco Santacroce.

Ipotesi omicidio di Denis Bergamini, la parola chiave è “Glicoforina”

La parola chiave è glicoforina, perché è in questa proteina contenuta nei globuli rossi che il pool ritiene di aver trovato la chiave dell’enigma. L’osservazione della glicoforina, infatti, ha la pretesa di rivelare se una lesione presente su un corpo sia stata inflitta a una persona già morta oppure ancora in vita.

Il meccanismo è semplice, quasi banale: si applica la glicoforina su una ferita e se questa si colora di rosso, allora vuol dire che quella lesione è stata inflitta a un soggetto ancora in vita. Nel caso dello squarcio provocato dal camion sul corpo di Denis, questa reazione non c’è, quindi significa che era già morto – o “in limine vitae” – prima di essere investito. La glicoforina, invece, fa il suo dovere in un altro punto del corpo del calciatore, mostrando una microlesione all’altezza della laringe.

I dati offerti dalla polvere magica si incrociano con l’osservazione dei tessuti polmonari repertati nel 1990, durante la prima autopsia eseguita da Avato. Si tratta degli stessi vetrini analizzati da Testi e Bolino in epoca più recente, durante la prima inchiesta guidata da Giacomantonio.

I vetrini con i tessuti di Bergamini utilizzati per gli esami di laboratorio

La svolta nella valutazione degli esami

Bene, le tracce di enfisema polmonare che per i precedenti medici legali potevano essere riconducibili alla putrefazione del cadavere – la prima autopsia fu eseguita 50 giorni dopo la morte del calciatore – per la Buonomo diventano solo i segni del soffocamento. Gli specialisti nominati dal gip Teresa Reggio consegnano la loro relazione il 15 novembre del 2017, ma con una chiosa in calce al documento: a tali conclusioni, avvertono, non è possibile attribuire alcuna «certezza tecnica».

Sembra un replay della vecchia inchiesta, ma due settimane dopo il gruppo si presenta in aula per presentare il proprio lavoro durante l’incidente probatorio richiesto dal difensore della Internò, l’avvocato Angelo Pugliese. E in quella sede la musica cambia.

Il soffocamento diventa la causa “probabile” della morte

L’ipotesi del soffocamento, infatti, è descritto dalla Buonomo in termini di «alta probabilità» e la sua precisazione è interpretata così dal gip: «Quindi mi pare di aver capito che ha un dato di certezza scientifica?». La dottoressa risponde con un «certo» e poi un «sicuramente», richiamandosi più volte alla letteratura internazionale sul tema. «Quale letteratura?» la incalza Pugliese che già conosce la risposta.

Carmela Buonomo

La cifra della glicoforina è uno studio pilota dal quale derivano poi due pubblicazioni su una rivista medica specializzata. «Rivista ad alto impatto» aggiunge Crisci, ma tant’è: l’esame consisteva nell’utilizzo di cadaveri esposti alla putrefazione per trenta giorni per consentire ai ricercatori di sperimentare poi le loro teorie sugli anticorpi in questione. Del resto, l’argomento era stato toccato tre anni prima anche da Testi e Bolino che avevano però scartato la glicoforina, ritenendo che la stessa andasse applicata su corpi freschi, deceduti al massimo da un paio di settimane, e non da più di trent’anni.

Più in generale, i due luminari evidenziavano come gli studi sulla vitalità o meno delle lesioni fossero partiti all’inizio degli anni Novanta, ma da allora non avevano mai superato la soglia del livello sperimentale. Nel 2017, invece, in sole due settimane, la scienza sembra aver compiuto passi da gigante. Crisci evoca ancora i livelli «mondiali» e «internazionali» della glicoforina, a suo dire utilizzata da «tutti i medici legali e gli anatomopatologi che vogliono dimostrare un’asfissia o una vitalità».

Antonello Crisci

«Tutti?» osserva il gip Reggio. «Quelli di un certo livello» risponde il professore, purtroppo deceduto qualche mese più tardi poiché vittima di un presunto caso di malasanità. Alta probabilità o certezza scientifica? Per il giudice sembrano sinonimi, ma la questione resta appesa a questo dilemma.

La Buonomo prova a ridimensionare la portata di quella frase dubitativa messa nero su bianco in fondo all’elaborato – nessuna certezza tecnica – e delinea il perimetro di una “piccola zona grigia” in cui confinare ogni perplessità, ma la Reggio continua a cercare un’interpretazione definitiva del suo pensiero: “Quindi mi pare di capire che noi possiamo dire con certezza assoluta che era già morto”, riflette il giudice.

“Morto per soffocamento”, ma mancano le tracce tipiche

A quel punto, la dottoressa chiude così la questione: “Io penso, lo penso e c’è un’alta probabilità. Ecco, lo penso e c’è un’alta probabilità. Lo penso e l’ho scritto insomma”. A suo avviso, dunque, Bergamini è stato soffocato con uno strumento che non ha lasciato tracce sul corpo, ma è sempre la letteratura medica a suggerire che, in caso di asfissia meccanica, soft o violenta, dovrebbero essere ben visibili altri segni, quelli determinati dalla reazione dell’organismo: la cianosi di labbra, unghie e piedi, un irrigidimento anomalo degli arti superiori e inferiori e piccole ecchimosi (le cosiddette petecchie) sparse per il corpo in particolare sulle palpebre.

Il “giallo” della digitopressione di Raimondi

C’erano questi segni sul corpo di Donato Bergamini? No a giudicare dalle foto dell’epoca e nulla rilevava in tal senso l’autopsia eseguita da Avato a gennaio del 1990. Niente del genere riferisce in proposito il dirigente del pronto soccorso di Trebisacce, Antonio Raimondi, convocato in obitorio la notte del 1989 per eseguire l’ispezione cadaverica. Il dottore opera una digitopressione sulla mano di Denis per stabilire sommariamente l’orario della morte, ma nella sua relazione non parla di cianosi, petecchie o irrigidimenti sospetti. C’è un problema però. Il 17 maggio del 2017 la polizia giudiziaria sente Raimondi a sommarie informazioni e il medico nega di aver eseguito quell’esame nonostante lo stesso si fosse svolto davanti al pm Ottavio Abbate, a tre marescialli e a un brigadiere.

«Non è il mio modo di esprimermi – spiega rileggendo la relazione dell’epoca a sua firma – I termini utilizzati nel parere sono tecnici specifici di chi si occupa di esami autoptici, non di mia competenza. Inoltre non ho effettuato alcun esame tipo digitopressione sul cadavere, feci solo un esame visivo peraltro molto veloce”. Quella notte a ispezionare il cadavere di Denis è anche il pm Abbate che dopo essersi infilato un paio di guanti, gli scopre le braccia in cerca di punture da siringhe per escludere da parte sua l’assunzione di qualche droga. Non trova nulla di tutto questo.

PROSEGUE

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