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Denis Bergamini

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Franco Pino, Francesco Garofalo, Giuseppe Vitelli e Nicola Belmonte sono quattro ex ‘ndranghetisti cosentini con differenti ruoli e meriti criminali, che da quasi trent’anni collaborano con la giustizia.

Nessun magistrato ha mai chiesto loro informazioni a proposito del delitto Bergamini, né i diretti interessati hanno mai riferito in modo spontaneo di sapere qualcosa di quella vicenda.

Facciolla li ha arruolati nell’inchiesta perché considera la loro ignoranza in materia funzionale alla dimostrazione della sua teoria: posto che quello di Bergamini è un omicidio – lo dice la scienza – se la malavita non ne sa nulla, allora vuol dire che è stato pianificato ed eseguito in ambito privato. Il loro silenzio, dunque, è letto in chiave abrogativa di qualsiasi altro movente che possa allontanare i sospetti da Isabella e dalla sua famiglia.

Partiamo da Vitelli, esponente del clan Perna-Pranno e campione olimpionico di omicidi – neanche lui ricorda quanti ne ha commessi – che collabora con la giustizia fin dal 1995 dopo essere stato tra i protagonisti più oscuri della guerra di mafia combattuta in città dal 1977 al 1985.

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Nonostante sia un sicario professionista, ostenta un profilo mondano in qualità di contitolare di una delle poche discoteche dell’epoca, l’Akropolis di Rende, un posto in cui andare a divertirsi senza imbattersi in ubriachi e molestatori. Del resto, chi oserebbe arrecare disturbo nel locale di Peppino?

Ogni tanto però qualcosa va storto. Stando a diverse testimonianze, infatti, è durante una di queste serate danzanti che l’allora giovanissimo Michele Padovano forse un po’ su di giri, avrebbe fatto qualche apprezzamento di troppo alla persona più sbagliata della discoteca: la moglie del proprietario. In passato, c’è chi ha perso la vita per essersi avvicinato troppo alle donne di Vitelli, ma quella volta non accade nulla di spiacevole: a garantire per l’incauto calciatore ci penserà Antonio Paese, un altro big della sua stessa cosca che finirà poi ucciso davanti al suo bar, nel centro di Cosenza, il 9 luglio del 1991.

Paese era uomo ben inserito nell’ambiente del Cosenza calcio e dei suoi tesserati. Uno dei suoi circoli ricreativi di via Panebianco, il suo feudo, era luogo di ritrovo abituale per molti di loro. Dopo la promozione in B, sempre lui organizzerà nel suo quartiere una festa con tanto di partitella celebrativa ala quale prenderà parte tutta la squadra dei Lupi su un campetto in terra battuta allestito per l’occasione.

Francesco Garofalo

Con queste informazioni di cronaca già note e con l’episodio inedito della discoteca riferito da Garofalo e dallo stesso Vitelli, la Procura di Castrovillari pone le basi per avviare il suo ragionamento: Paese esercitava un ruolo “protettivo” nei confronti dei calciatori e non avrebbe mai consentito che a qualcuno di loro capitasse qualcosa di brutto. La malavita allora non c’entra, tant’è che dopo la tragedia è proprio il clan Perna-Pranno ad avviare un’inchiesta parallela a quella della magistratura per far luce sull’accaduto. Così almeno sostiene Garofalo che del gruppo era il Numero due, secondo solo ai boss titolari. Sarebbe stato uno di loro, Mario Pranno, ad affidargli il compito di indagare sui fatti di Roseto, ma alla fine “la cosa andò scemando” perché neanche lui riuscirà a trovare elementi per mettere in crisi la versione di Isabella.

Nessuno, all’interno dei gruppi criminali sapeva nulla di quella vicenda, ritornello ribadito anche da un uomo molto vicino a Paese come Nicola Belmonte. Tutti loro, però, ci tengono a precisare di non aver mai creduto alla storia del suicidio di Denis. La musica non cambia quando si passa al dominus dell’altra cosca, Franco Pino, ma con qualche considerazione a margine. Durante l’interrogatorio del 30 ottobre del 2018, il superboss afferma di aver ritenuto strano che nessuno della società del Cosenza si fosse rivolto a lui per chiedergli di indagare sulla morte di Bergamini visto che, a suo dire, i suoi rapporti con alcuni di quei dirigenti erano molto saldi. A suo avviso, ciò sarebbe avvenuto perché la società temeva che un’indagine seria potesse scoperchiare altri pentoloni maleodoranti come quello delle partite truccate. “Mi ero convinto che nessuno avesse interesse ad accertare la verità”.

Opinioni in libertà a parte, una possibile svolta sembra annunciarla la richiesta di colloquio pervenuta sulla scrivania del procuratore a febbraio del 2018. A scrivergli dal carcere di Teramo è il detenuto Pietro Pugliese che dice di essere a conoscenza di particolari importanti sul caso Bergamini e di volerne parlare “solo con Facciolla”. E così, il 2 marzo del 2018, Pugliese viene portato a Castrovillari e messo al cospetto del magistrato e dei suoi due detective. Non è un detenuto qualunque. Negli anni Novanta è stato il grande accusatore di Diego Armando Maradona, da lui additato come terminale di un import-export di cocaina sulla rotta Napoli-Buenos Aires.

Franco Pino

Pugliese comincia a parlare di questa vicenda per la quale l’allora Pibe de oro fu processato e poi assolto. Ne discetta a lungo con i suoi interlocutori che cercano più volte di riportarlo sull’argomento del giorno, ma con scarsa fortuna. Alla fine, spiega il contesto nel quale sarebbero maturate le sue conoscenze in materia: una riunione tra calciatori del Napoli avvenuta a novembre del 1989 durante la quale, in sua presenza, si sarebbe parlato di un traffico di droga dal capoluogo campano verso la città dei bruzi. Bergamini non era coinvolto in alcun modo nell’affare, ma i convenuti avrebbero azzardato l’ipotesi che fosse stato eliminato in quanto testimone scomodo dell’accaduto. .

Congetture insomma, alle quali Pugliese aggiunge un incontro che sostiene di aver avuto, proprio a Castrovillari, con un dirigente del Cosenza, durante un periodo di semilibertà. Il suo sedicente interlocutore gli avrebbe confermato che Denis era stato ucciso, rinviandolo però a un nuovo meeting per tutti i dettagli del caso, ma il colloquio programmato per il giorno successivo sarebbe poi saltato. A quel punto la sua audizione è durata già un’ora e venti minuti. “Per il momento possiamo chiudere qua – gli comunica Facciolla – poi vediamo quello che succede, però per il momento si chiude qui, okay?”.

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