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Il porto di Gioia Tauro

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GIOIA TAURO (REGGIO CALABRIA) – L’inchiesta condotta ed eseguita l’altro ieri che ha visto al centro la famiglia Molè di Gioia Tauro ed il suo ruolo nel traffico internazionale di cocaina, fa emergere uno spaccato che inevitabilmente, adesso, troverà altri spunti investigativi come quello che servirà a capire chi sono e con quali modalità vengono assoldati i componenti del gruppo paramilitare utilizzato per recuperare carichi di cocaina nel mare davanti ai porti.

Dalle carte dell’inchiesta emerge come questi specialisti del recupero in mare costituiscano una sorta di specialità rara di mercenari super specializzati, formatisi nei reparti militari di paesi sudamericani che prestano la loro opera in cambio di soldi. Molti soldi, visto il lavoro che devono fare.

Si tratta di palombari e anche sommozzatori super preparati ed attrezzati anche di apparecchiature sofisticate pronti ad immergersi nei fondali marini e recuperare i carichi di droga. Specialisti, che costituiscono a loro volta un gruppo criminale che si mette a disposizione di altri gruppi criminali in cambio di ingenti quantitativi di danaro o persino di percentuali di cocaina. Servizi di specialità conosciuti che nel giro che conta dei narcos devono essere pronti ad intervenire quando una famiglia o un gruppo li assolda.

E chi può farlo se non chi è formalmente accreditato o conosciuto bene nel mondo internazionale del narcotraffico. Di sicuro i Molè lo erano, tanto che non hanno avuto problemi a farli venire a Gioia Tauro e ad utilizzarli persino nel porto di Livorno. Del resto, la tecnica di non utilizzare lo spin-off e cioè quella di collocare i panetti di cocaina dentro i borsoni e quindi all’interno dei container, ogni tanto deve essere cambiata soprattutto se nello scalo di Gioia Tauro i controlli diventano efficientissimi. E allora l’altro modo per far arrivare i carichi di cocaina è quello di far buttare in mare i carichi nei pressi del porto di destinazione utilizzando anche delle ricetrasmittenti che vengono agganciate ai sacchi o ai carichi ben isolati per non rischiare di non farli entrare in contatto con l’acqua del mare.

Per far questo, però, debbono esserci almeno due condizioni: avere parte dell’equipaggio della nave complice che provvede a smaltire in mare il carico e soprattutto chi poi lo va a recuperare e cioè palombari o sommozzatori.

Roccuzzo Molè, nonostante la sua giovane età, dunque, aveva rapporti tali da poter attivare questi aiuti e le conoscenze giuste per ottenere l’ausilio di questi mercenari. Il suo, nonostante le dinamiche degli anni scorsi era un cognome conosciuto nei giri dei trafficanti di cocaina, tanto da potermi permettere questi aiuti strategici. Due di questi palombari e sommozzatori di origine peruviana, ha scoperto la Polizia, arrivano a Gioia Tauro e vi stazionarono dal 10 al 22 novembre del 2019 e furono alloggiati in un appartamento in via Stesicoro, seguiti passo passo e supportati da uno degli uomini di Rocco Molè, Simone Ficarra i quale accompagnò Molè anche nelle operazioni di esfiltrazione della cocaina giunta al porto di Livorno. E per permettere ai palombari di effettuare delle ispezioni davanti al porto gioiese senza destare sospetti acquistò canne da pesca facendo in modo che i due sommozzatori fossero semplici cittadini con l’hobby della pesca.

Droga recuperata a Gioia Tauro ma anche a Livorno dove Molè poteva contare su operatori portuali (Dell’Omo e Billi) per il recupero dei container illeciti, utilizzando un telefono riservato che era loro stato consegnato per le comunicazioni. Proprio in una di queste si definivano “la Nuova Narcos Europea”. In Toscana a fronte delle difficoltà di esfiltrazione della cocaina dall’area portuale livornese, valutavano la possibilità che la cocaina venisse buttata in mare e poi recuperata con i sommozzatori. Specialisti, sommozzatori o palombari ma anche chimici, dicevamo, mercenari che agivano in vari stati e per vari gruppi di importatori di cocaina.

A Gioia Tauro hanno prestato la loro opera i colombiani due soggetti dai nomi tipicamente sudamericani Tenorio e Alvarez e i peruviani Antonio Jose-, peruviani i sommozzatori tali Javier e Alanes ma anche un boliviano di nome Alanes che si è scoperto operavano anche in Spagna, Portogallo, Bolivia, Perù e Brasile. Elementi che accrescono la necessità di fare ancora luce sui lati oscuri e sui legami che regolano questi gruppi con le famiglie della ndrangheta calabrese, che sembra di casa nei loro paesi. 

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