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FORMAZIONE, prevenzione e sicurezza sul lavoro: è una Italia arlecchino, dove ogni regione si muove come meglio crede. Ancora oggi nel nostro Paese mancano provvedimenti organici per affrontare e contrastare il dilagante fenomeno degli infortuni sul lavoro, che vede in testa alla classifica le regioni del Mezzogiorno.

L’ultimo accorato appello al Governo da parte della Conferenza delle Regioni e delle province autonome è di qualche giorno fa. «Si chiede al Governo, nella logica di leale collaborazione istituzionale, di avviare un confronto politico per affrontare dal punto di vista sistemico il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro, assicurando la disponibilità in tale ambito della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, che non può essere esclusa dalle discussioni in corso sull’individuazione di provvedimenti organici per affrontare e contrastare in ogni modo il fenomeno degli infortuni sul lavoro» hanno scritto a fine aprile. «Considerato che le recenti disposizioni normative proposte dal Governo, con particolare riferimento al Decreto-Legge 19/2024, contrastano con l’assetto istituzionale definito dalla legislazione vigente, dal momento che l’unico soggetto istituzionale competente in tale ambito risulta essere l’Ispettorato Nazionale del Lavoro – si legge nel documento della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome – In particolare, non si è tenuto conto né del ruolo del Ministero della Salute, al quale sono assegnate ai sensi del D.Lgs. 81/2008 le funzioni di indirizzo e coordinamento nazionale della attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, né delle responsabilità e delle competenze dei Servizi Sanitari Regionali, per i quali è previsto un ruolo di assoluta subalternità e che sono stati esclusi dalle iniziative per il rafforzamento degli organici (a differenza di Ispettorato Nazionale del Lavoro, Arma dei Carabinieri, Inail e Inps)». Appena nel febbraio scorso è stata sottoscritta la convenzione quadro Regioni-Inail per la sicurezza sul lavoro dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, e dal commissario straordinario dell’Inail, Fabrizio D’Ascenzo.

L’obiettivo? Rendere più efficaci le attività di contrasto degli infortuni e delle malattie professionali attraverso una maggiore condivisione dei dati con gli enti territoriali nell’ambito del processo di implementazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp). È una convenzione quadro di durata quinquennale che disciplina, in particolare, le modalità di accesso ai servizi Flussi informativi, Registro delle esposizioni e Registro infortuni dell’Inail. Ma non basta. Le azioni previste nei piani regionali di prevenzione costituiscono una parte qualificante dell’attività ma, pur essendo progettate coerentemente con il Piano Nazionale della Prevenzione, restano tasselli isolati nelle singole realtà. Analizzando le relazioni inviate dalle regioni al Ministero si può affermare che 64 piani (93%) sono stati regolarmente avviati da tempo.

Resta pertanto la necessità di coordinare le azioni di prevenzione tra le stesse regioni e tra altri Enti dello Stato che svolgono funzioni correlate alla prevenzione nei luoghi di lavoro. Sta di fatto che in tutte le regioni risultano attivati i Comitati Regionali di Coordinamento ex art. 7, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, finalizzati alla programmazione coordinata degli interventi. I risultati soddisfacenti raggiunti nel primo anno di operatività dei piani regionali di prevenzione, dimostrano comunque l’impegno delle regioni nel garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Restano ancora da sviluppare alcune attività, soprattutto sul fronte del contrasto all’illegalità, in particolare per quanto riguarda la regolarità dei rapporti di lavoro, che introduce un elemento di concorrenza sleale nei confronti delle aziende virtuose. Altra problematica da affrontare resta quella della semplificazione delle norme, pur senza ridurre i livelli di tutela, per meglio adeguarle alle piccole e alle micro–imprese che costituiscono la maggior parte del sistema produttivo e che sono state le più colpite dalla crisi economica. Il lavoro da svolgere resta ancora lungo ed impegnativo. E’ necessario sostenere l’azione Regionale e quella delle Aziende Sanitarie Locali al fine consolidare i risultati ottenuti e di realizzare gli interventi che consentano un’ulteriore significativa riduzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, perché di lavoro non si morire.

CORSI FARLOCCHI

La mancata formazione è una delle principali cause degli incidenti sul lavoro. Certificati contraffatti, corsi mai eseguiti, operai in cantiere con in tasca documenti falsi. Le violazioni dell’accordo Stato-Regioni sulla formazione in materia di sicurezza sempre più spesso finiscono in Procura. Sono diversi i fascicoli penali aperti. La norma prevede per le aziende l’obbligo di garantire e pagare ai dipendenti corsi sulle dotazioni e le procedure di sicurezza. La legge prevede che, in base al livello di rischio, i lavoratori debbano seguire corsi di durata compresa fra le 8 ore (per gli uffici) e le 16 ore (nell’edilizia).

Ogni cinque anni è obbligatorio per le aziende garantire aggiornamenti del corso base. L’ente chiamato a verificare i requisiti delle società che offrono i corsi è la Regione. La problematica degli attestati di sicurezza non autentici è un fenomeno che solleva preoccupazioni significative nel contesto della formazione professionale obbligatoria. Questi documenti vengono talvolta rilasciati da enti di formazione o consulenti senza che il destinatario abbia effettivamente partecipato ai corsi prescritti. Le ragioni dietro la produzione e l’acquisto di tali attestati fasulli variano, ma spesso sono legate al desiderio di evitare il tempo e il costo associati alla formazione autentica. Il giro d’affari è enorme. Prendiamo ad esempio una delle aree economiche più produttive del nostro Paese, quella di Milano e provincia, dove i lavoratori che dovrebbero avere frequentato i corsi sono 1,86 milioni. In tutta la Lombardia si arriva a 3,8 milioni. Se si considera che un corso in aula da 12 ore costa alle aziende fra i 300 e i 400 euro lordi per dipendente, è facile capire come il giro di affari potenziale nella sola regione si avvicini al miliardo e mezzo di euro.


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