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Mario Draghi e Luigi Di Maio

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Hanno tirato la corda fino all’ultimo i grillini contiani e la grancassa del rumore che li precede. Draghi non si è mosso di un millimetro e loro hanno dovuto abbozzare. Quello che vale più di tutto per il futuro del Paese è che il presidente del Consiglio italiano ha dimostrato anche all’Europa e ai mercati che la classe dirigente vera italiana è in grado di imporsi e questo agli occhi del mondo significa avere preservato il leader istituzionale della nuova Europa che è la migliore bandiera dell’Italia. Ciò che emerge con nettezza e che a noi realmente interessa è che oggi possiamo dire che la cura Mattarella ha funzionato. Bisognava tenere la locomotiva sul binario e ci voleva un capotreno all’altezza. Lui è stato capace di trovarlo e chi ha risposto alla chiamata ha dimostrato di riuscire a superare anche gli snodi più difficili. Macron guiderà la sua ultima riunione come presidente del Consiglio europeo avendo mezzo perso con i populismi di Melenchon e della Le Pen, Draghi si presenta come chi è riuscito a tenere a freno il populismo italiano e a preservare l’unità. Di Maio ha dato una mano a trovare una soluzione in un quadro che si stava pericolosamente ingarbugliando.

Il dato politico della giornata di ieri è che Draghi va più forte che mai a Bruxelles perché è il leader europeo che ha messo in riga il populismo o, se volete, ha costretto il populismo a sostenerlo. Lo stesso, identico, populismo che gli aveva sparato addosso fino a dieci minuti prima. In questo senso esce alla grande da una crisi di politica interna difficilissima nascosta dietro paraventi demagogici di politica estera. Hanno tirato la corda fino all’ultimo i grillini contiani e la grancassa del rumore che li precede. Draghi non si è mosso di un millimetro e loro hanno dovuto abbozzare.

Quello che vale più di tutto per il futuro del Paese è che il presidente del Consiglio italiano ha dimostrato anche all’Europa e ai mercati che la classe dirigente vera italiana è in grado di imporsi e questo agli occhi del mondo significa avere preservato il leader istituzionale della nuova Europa che è la migliore bandiera dell’Italia. Draghi ha, di fatto, dimostrato che in questo momento non si può portare attacco con successo alla sua posizione. Per gli innegabili risultati raggiunti in termini di crescita economica, riforme di struttura e sentiero virtuoso di riduzione del peso del debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo, ma anche – e forse ancora di più – perché la storia esige risposte competenti e complesse a situazioni complicatissime. Perché questa volta l’Italia gioca la sua parte nella storia sotto la guida dell’uomo che conosce più di tutti i meccanismi internazionali in quanto è stato il Presidente della Banca centrale europea (Bce) che ha salvato l’euro e evitato il default sovrano di Italia e Spagna.

Come dice il proverbio, mai come in questo caso, è giusto dire che Draghi ha la forza di avere il coltello dalla parte del manico e rivendica un percorso lineare dove stanno insieme il sostegno alla libertà dell’Ucraina aggredita e le sanzioni alla Russia invasore, la volontà di costruire la pace senza nascondersi dietro finti pacifismi e rispettando alla lettera lo spirito del mandato parlamentare ricevuto. C’è un passaggio che riguarda il Paese quando, anche indirettamente, è coinvolto in una guerra, e ci sono decisioni che hanno risvolti anche morali, e lì Draghi dà il meglio perché rimarca che il sostegno è stato unito ed è molto importante per lui. Questo passaggio è, come ho già detto, meraviglioso perché sta dicendo con garbo estremo a una parte dei senatori dell’arcipelago grillino “avete dovuto arrendervi” per la semplice ragione che ci sono decisioni dalle quali anche moralmente non ci si può sottrarre.

Qui si coglie fino in fondo il miracolo compiuto a suo tempo da Mattarella. Avere capito che Draghi avrebbe incastrato tutti. Che non ci sarebbe stato gioco politico possibile alternativo, perché nessun partito sarebbe stato nelle condizioni di gestire un passaggio così complicato. Ha individuato questa soluzione, in un momento molto difficile, e ha convinto Draghi a caricarsi questa croce. Dopo di che vedremo che cosa succederà nella galassia grillina in fermento permanente. Che cosa continuerà a succedere in quell’area sopravvissuta sotto la guida di Conte. Sul piano cronistico intanto va notato che sono il secondo partito in dissoluzione non solo o non tanto perché con il nuovo gruppo di Di Maio il primo partito in Parlamento diventa la Lega, ma perché il consenso elettorale reale è oggettivamente ai minimi e lo spettacolo da tragicommedia degli ultimi giorni non aiuta nessuna ripartenza.

Che cosa sorgerà intorno a Di Maio non è chiaro così come quanto potrà fare presa il suo moderatismo su un bacino elettorale che parte da tutt’altre sponde, però di certo la coerenza delle nuove posizioni assunte e il ruolo svolto da ministro degli Esteri in questa fase difficile sono dalla sua parte così come di sicuro la sua iniziativa dà il colpo di grazia al tormento dei grillini. Questa è la verità. Ci saranno ricomposizioni? Non sembra facile.

Conte capisce che la situazione va affrettata e accelera sulla crisi di governo e sul voto, ma i numeri in Parlamento non ci sono più e i timori di un salto nel buio con tonfo finale sono di livello alto. Quello che emerge con nettezza e che a noi realmente interessa è che oggi possiamo dire che la cura Mattarella ha funzionato. Bisognava tenere la locomotiva sul binario e ci voleva un capotreno all’altezza. Lui è stato capace di trovarlo e chi ha risposto alla chiamata ha dimostrato di riuscire a superare anche gli snodi più difficili.

Macron guiderà la sua ultima riunione come presidente del Consiglio europeo avendo mezzo perso con i populismi di Melenchon e della Le Pen che hanno oggettivamente ottenuto rilevanti risultati elettorali, Draghi si presenta come chi è riuscito a tenere a freno il populismo italiano. Che si è dovuto arrendere davanti a lui.

Salvini si occupa di prezzo della benzina, ma il governo è all’opera più di lui in casa e in Europa. Conte ha sbattuto la faccia per terra e ci dispiace perché questo impegno politico è lontanissimo dal moderatismo che ha caratterizzato la sua stagione di presidente del consiglio.

Di Maio ha dato una mano a trovare una soluzione in un quadro che si stava pericolosamente ingarbugliando. Ha capito che c’era questo spazio politico e lo ha occupato. Ha capito che la fase del populismo è finita e ha deciso di provare a mettere a frutto quello che aveva fatto. La maggioranza dei Cinque stelle che si sono messi alla prova e anche loro non vogliono perdere l’esperienza acquisita è passata con Di Maio. Qui possono provare a salvare una credibilità personale, fuori di lì no.


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