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Giorgia Meloni con Mario Draghi

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Non era scontata e ci fa uscire  indenni dal girone infernale delle agenzie di rating con lo spread ai minimi di luglio e il rendimento dei Btp sotto il 4%.  È bello che il taglio di 2 punti del cuneo fiscale a favore dei lavoratori del governo Meloni è lo stesso del governo Draghi che vuol dire tutelare un incentivo rilevante nelle compatibilità di finanza pubblica, peraltro con un punto in più alle imprese. È bello lo stesso credito di imposta un po’ più alto per i piccoli, dal 30 al 35%, e per i grandi, dal 40 al 45%, perché i prezzi del gas sono più bassi e l’identico impianto produce effetti migliori. Stesso solco seguito per le famiglie.  L’intervento sulle pensioni è anche più rigoroso perché quota 103, fatta di 41 anni di contributi e 62 di età, si rivolge a una platea più ristretta della precedente quota 101.  Su 30 miliardi di manovra 21 sono per combattere il caro bolletta, 5 per il cuneo fiscale, qualche centinaia di milioni per le pensioni. Diciamo che 27 su 30 dei miliardi della manovra Meloni-Giorgetti sono la fotocopia dell’ultima manovra Draghi-Franco e, nel mondo reale di oggi, sono un esercizio di responsabilità e di capacità di governo che per ora salva il Paese 

Non era scontato, ma sta succedendo. Bisogna rendere merito pubblico a Giorgia Meloni e a Giancarlo Giorgetti per avere tenuto la barra dritta della nave italiana nel mezzo di mari tempestosi globali seguendo la rotta di responsabilità indicata da Mario Draghi e Daniele Franco. Bisogna rendere merito pubblico a entrambi perché seguire la rotta del realismo efficace del governo del miracolo economico che li ha preceduti non è facile nell’Italia dell’irrealtà e del piagnisteo.

Questo Paese è attraversato dai venti mediatici del populismo che cancellano con il rumore delle parole una guerra nel cuore dell’Europa e la sua coda lacerante di crisi inflazionistiche, economiche e sociali e ignorano del tutto il rischio di una crisi finanziaria globale. Questo Paese paga ogni giorno il conto del catastrofismo dei peggiori che hanno occupato i media televisivi e vendono la droga di un mondo che non c’è e non può esistere. Rischiano di spegnere gli spiriti vitali di un popolo operoso e nuocciono al dinamismo produttivo, creativo, innovativo di un sistema unico di imprese, patrimoni universitari e capitali di ricerca. È quello che ha fatto dell’Italia per sette trimestri consecutivi l’unica grande economia europea che è sempre cresciuta.

È bello che il taglio di due punti del cuneo fiscale a favore dei lavoratori del governo Meloni è lo stesso pari pari del governo Draghi che vuol dire avere tutelato un incentivo enorme nel quadro delle nostre compatibilità di finanza pubblica attuali, peraltro con un punto in più alle imprese che aiuta economia e occupazione. È bello che il pacchetto imprese e famiglia contro il caro bollette è lo stesso del governo Draghi anche nell’utilizzo di strumenti e meccanismi. È lo stesso credito di imposta del governo di unità nazionale che li ha preceduti un po’ più alto per i piccoli, dal 30 al 35%, e per i grandi, dal 40 al 45%, perché le quotazioni del prezzo del gas sono più basse e lo stesso, identico impianto normativo e strumentale può produrre effetti migliori. Uguale è anche lo schema del bonus famiglie, meno male.

L’intervento in campo pensionistico avviene nel solco tracciato di procedere con accortezza sulle quote pensionistiche, contributive e di età. Anzi, è addirittura un po’ più rigoroso perché quota 103, fatta di 41 anni di contributi e 62 di età, si rivolge a una platea ancora più ristretta della precedente quota 101. La clausola di salvaguardia del bilancio pubblico di un Paese super indebitato, come il nostro, e del futuro dei nostri giovani, è salva, tutelata nel modo migliore. In questi passaggi si colgono senso di responsabilità e idea di Paese non di breve respiro.

Facciamola breve. Su trenta miliardi di manovra ventuno sono per combattere il caro bolletta, cinque miliardi sono per il cuneo fiscale, qualche centinaia di milioni sono per le pensioni.

Diciamo che 27 su 30 dei miliardi della manovra Meloni-Giorgetti sono la fotocopia dell’ultima manovra Draghi-Franco e, considerando la sopraggiunta complicazione del quadro internazionale, sono davvero un bel prodotto di responsabilità e di capacità di governo.

Le uniche deviazioni sono un microscopico inizio di rafforzamento della flat tax per i lavoratori autonomi e due interventi invece più di sostanza che riguardano il superbonus del 110% e il reddito di cittadinanza. Vorremmo, però, dire che è noto a tutti quello che Draghi pensava del superbonus e ciò che ha detto in Europa. Così come è altrettanto noto a tutti che è stato lui a volere aumentare i controlli sul reddito di cittadinanza tracciando anche qui un itinerario molto chiaro diretto a distinguere tra sussidio sacrosanto a chi ha bisogno e lotta agli abusi/qualificazione per l’ingresso nel lavoro di chi ne ha i requisiti. Non aveva potuto procedere su entrambi i fronti a fare quello che stanno per fare ora Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti perché in maggioranza c’erano quei Cinque stelle che oggi non ci sono più.

Questo mi sembra un dato di politica economica rilevante da cogliere. Anche perché trova riscontro quotidiano nel precipizio pubblico degli stessi Cinque stelle in un declino populista che rasenta accenti venezuelani nel continuare a rivendicare e suggerire senza alcun rossore le stesse cose che hanno fatto quando avevano la guida del governo. Non riescono mai a dire che per fare quelle cose lì hanno messo sul conto degli italiani cinquecento miliardi di impegni pluriennali di spesa che sono un macigno sul futuro dei nostri giovani. Dovrebbero chiedere scusa e invece si vantano.

La prova più evidente di questa accortezza del nuovo governo nella gestione della finanza pubblica che è la base della crescita possibile da costruire con le riforme e gli investimenti, si è avuta dall’uscita indenne dell’Italia dal girone infernale degli esami delle agenzie di rating che hanno tutte confermato rating e outlook per il nostro Paese. Chi dice che era tutto scontato o che si tratta di cose ordinarie, mente sapendo di mentire. Il risultato più concreto per la qualità della vita del nostro Paese e il benessere possibile dei suoi cittadini è che lo spread italiano è ai minimi di luglio e il rendimento dei Btp è sceso sotto quota 4%. L’approccio realista del duo Meloni-Giorgetti è servito a tranquillizzare i mercati e a ridurre i danni di spesa per interessi prodotti all’Italia dalle condizioni generali di politica monetaria e dal rischio sottovalutato da tutti di crisi finanziaria globale. Quel risparmio sulla spesa per interessi serve, tra l’altro, per pagare stipendi e pensioni e manutenere il Paese. Non sono cose di poco conto nel mondo reale di oggi.


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