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Vladimir Putin

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IL 22 AGOSTO del 2020, a ridosso delle proteste popolari (proseguite per 100 giorni nonostante la feroce repressione della Polizia del regime (si arrivò a mille arresti al giorno) contro il presidente Alexander Lukashenko, accusato di brogli elettorali, il Post, in un articolo, spiegava che, negli ultimi giorni, con l’aggravarsi della crisi bielorussa, si era cominciato a parlare della possibilità di un intervento militare della Russia a difesa del regime.

Russia e Bielorussia – era scritto nell’articolo – sono paesi amici, legati da trattati di vario tipo, anche di difesa. Sempre più in difficoltà a causa delle enormi proteste antigovernative che si svolgevano nel paese, Lukashenko, al potere dal 1994 – aveva parlato al telefono per due volte con il presidente russo Vladimir Putin, chiedendogli aiuto. Putin aveva assicurato Lukashenko che la Russia avrebbe fornito la «necessaria assistenza» al governo bielorusso di fronte a minacce provenienti dall’esterno: un modo per dire che la Russia non escludeva la possibilità di intervenire militarmente in Bielorussia, se lo avesse ritenuto necessario. Così la Bielorussia si era legata ancora di più al Cremlino, consentendo un anno dopo sul suo territorio l’organizzazione di manovre militari insieme ai russi, in preparazione dell’attacco all’Ucraina anche dal Paese confinante. In sostanza, Lukashenko era riuscito ad evitare l’invasione perché era stato in grado di stroncare da solo le proteste. Un po’ come fece Wojciech Jaruzelski, il generale polacco che nel 1981 prese il potere con un colpo di Stato, per prevenire un ”pellegrinaggio’’ dell’Armata Rossa o delle truppe del Patto di Varsavia, in Polonia, dopo gli effetti destabilizzanti determinati  dalle iniziative di Solidarnosc.

In sostanza una sorta di auto invasione, ritenuta tale anche dai polacchi, che dopo la caduta del Muro di Berlino e l’avvio della decomposizione dell’Impero sovietico elessero, legittimamente Wojciech Jaruzelski presidente della Repubblica dal 1989 al 1991. Verrebbe da dire – osservando la tragica vicenda dell’aggressione russa all’Ucraina – che Vladimir Putin agisce come se fossimo ancora nel Novecento, nell’intervallo dei pochi decenni tra la conclusione della Grande Guerra e l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939.

Magari non se ne rendono conto, ma sono proprio i teorici della complessità, coloro che condannano l’invasione dell’Ucraina, ma si arrampicano sugli specchi per trovare delle giustificazioni dell’operato di Putin, a mettere in difficoltà, sul grande libro della storia, l’autocrate del Cremlino. E sostanzialmente ad avallare molti degli argomenti che portarono la Germania di Hitler a provocare la seconda guerra mondiale.

Sappiamo benissimo che occorre cautela nel tracciare parallelismi arditi nel corso della storia. In Nazismo rappresenta un caso unico per l’abominio della Shoah, per il disegno di sterminare gli ebrei in tutta Europa (peraltro la Polonia e l’Ucraina hanno pagato un prezzo enorme a questo fanatismo demoniaco che, comunque, aveva alle spalle secoli di  misfatti, di pogrom, di conversioni forzate, di persecuzioni che rimangono una vergogna per l’intero Continente, ben al di là delle responsabilità del Nazismo). Ma se guardiamo alla narrazione delle imprese di Putin e dei suoi profeti ci imbattiamo inevitabilmente in argomenti triti e ritriti. La Germania nel 1919 uscì umiliata dalle condizione imposte dal Trattato di Versailles, che influirono molto sulla stabilità della Repubblica di Weimar, fomentando un nazionalismo non sopito, che, al pari di tutte le semplificazioni che inducono politiche sbagliate, forniva facili risposte alla crisi politica ed economica. Per di più a Versailles si erano ridisegnati i confini degli Stati, creandono di nuovi con pezzi dei vecchi imperi, senza dare la dovuta importanza all’assembramento all’interno dei nuovi confini di nazionalità differenti, esasperate dal virus del nazionalismo. Hitler fece leva sull’esigenza di unificare i tedeschi in un solo Reich nella ricerca di uno “spazio vitale’’.

Anche allora questi ragionamenti facevano presa sulle opinioni pubbliche europee. I regimi fascisti e nazisti erano tutt’altro che isolati, soprattutto a fronte di quello che era ritenuto il principale nemico comune: l’Urss e la minaccia del comunismo internazionale. Gli europei di allora si domandavano se fosse giusto morire per Danzica, o per i Sudeti, o per l’annessione dell’Austria al Reich; se fossero problemi loro la presa del potere in nazioni importanti di regimi dittatoriali che diffondevano le loro dottrine anche nei Paesi democratici, trovando consensi grazie alla implementazione di quei rancori che la guerra aveva lasciato dietro di sé. Che cosa sostiene oggi Putin trovando “comprensioni’’ anche da noi? L’Urss è stata umiliata dopo la sconfitta nella guerra fredda. La Nato ha approfittato delle difficoltà per allargare la sua zona di influenza, mettendo in crisi, così, l’ordinamento internazionale scaturito dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale. Non conta che la nuova configurazione geopolitica sia la conseguenza di libere ed autonome scelte di Stati sovrani, che hanno ritenuto loro interesse stipulare nuovi patti ed alleanze. Putin rivendica per la Russia un diritto di conquista, secondo la vecchia logica dell’imperialismo che non si cura affatto di ciò che vogliono i popoli da sottomettere.

Per giustificare l’operazione militare speciale in Ucraina, Putin non ha sentito il bisogno di dare spiegazioni, se non quelle di negare l’esistenza della nazione ucraina, sottratta alla Russia da errori compiuti dai governi del secolo scorso. Ne deriva che la Federazione è legittimata a prendersi ciò che le appartiene, con qualunque mezzo e ad ogni costo. Dove c’è un russo, lì deve esserci la Russia. Una dottrina che nella crisi jugoslava provocò vere e proprie pulizie etniche da parte dei serbi nei confronti di altre nazionalità. Ma questa teoria era stata praticata già nel secolo scorso nel caso dei tedeschi.  


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