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Ma quando alla fine ci sarà il Ponte di Messina, quando si potrà scavalcare a forza di tiranti d’acciaio e di altra ferraglia lo Stretto, il modo di sfogliare e far vivere il libro che sgorga dalle correnti marine e dalle onde – Horcynus Orca – ci sarà? L’odissea di ‘Ndrja Cambrìa che si fa largo tra le spire delle fere e dell’Orcaferone potrà trovare finalmente ascolto? Col sole che sui mari dello scill’e cariddi tramonta quattro volte per ogni viaggio, con la panna e il velo di sotto alle gonne di Ciccina Circé (a passarci il dito) e con Ferdinando Currò che fa correre il tempo a guardare il mare, il flusso del traffico – pedaggio automobilistico o meno – avrà infine l’ardua e incessante digressione della scrittura di Stefano D’Arrigo? E a lui, infine, al sommo scrittore tra gli scrittori, verrà intitolato questo Ponte visto che in vent’anni e più di riscrittura e nell’infinità di pagine ha creato il capolavoro di una traversata? Dal 4 all’8 ottobre del 1943, da Napoli verso le Calabrie e, infine, in Sicilia. È il nostro Moby Dick, Horcynus Orca. Ancora meglio: è il nostro Ulysses. L’epica nostra di sempre del nostro James Joyce: Stefano D’Arrigo.


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