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NON SO quanti saliranno dal Meridione, nel quale prevalentemente si legge “Il Quotidiano del Sud“,  alla remota Piacenza, poco visitata anche da chi vive nel Nord, e perfino a Parma o a Milano; ma è certamente meritevole di un approdo, benché difficile e intermittente, essendo più chiusa che aperta, la Galleria d’arte moderna Ricci Oddi.

Temo che non l’abbiano visitata neanche il Direttore del Sole 24 ore, con sede a Milano, o il sofisticato Peter Glidewell, viaggiatore senza sosta per lidi lontani.

Nessun luogo è più lontano della Galleria Ricci Oddi di Piacenza, il più importante museo della pittura dell’Ottocento in Italia, in attesa che apra il Museo dell’Ottocento di Pescara, voluto dalla Fondazione Di Persio Pallotta. Giuseppe Ricci Oddi fu un collezionista appassionato, con l’ansia della completezza.

Toccò il vertice dei suoi acquisti con “Il ritratto di Signora” di Gustav Klimt, opera di apparente semplicità e di grande intensità umana, benché faticosamente elaborata, tanto da apparire assai diversa  dalla sua prima versione con il cappello. L’acquisto risale al 1925, da un’ottima fonte: Luigi Scopinich, pittore e collaboratore della “Bottega di poesia”,  la galleria fondata a Milano da Emanuele Castelbarco.

A segnalarla era stato il valoroso e multiforme architetto della Galleria, Giulio Arata. Ricci Oddi acquistò il dipinto di Klimt insieme a 12 incisioni di Fattori e di Disertori, per 30.000 lire. Un acquisto per molti versi straordinario, e anche conveniente, se pensiamo che per il tizianesco “Moschettiere” di Antonio Mancini il collezionista aveva speso più di 50.000 lire.

Il confronto fra le due opere non è impietoso, ma inquietante: quanto Mancini è voluto, nell’apparente libertà della materia pittorica, tanto Klimt, pittore artificioso, è, in questo capolavoro, di disarmante purezza sia nella veloce stesura dell’abito fantasia, che sembra alludere a Matisse, sia nell’emozione del volto turbato  e fervente. Come  molti ricordano, all’importanza del dipinto si aggiunse il clamore del furto nel 1997, con l’imprevisto ritrovamento di qualche mese fa.

Ma la città, nella sua sonnolenza, forse desiderata, certamente coltivata, non ha tratto vantaggio né dall’acquisto né dal giallo. E, a Piacenza il Klimt della Ricci Oddi, e parimenti il meraviglioso Antonello (la migliore interpretazione dell’”Ecce Homo”) del Collegio Alberoni non hanno clienti e code per vederli.

Oggi che l’amministrazione della Galleria, in condominio con il comune di Piacenza, ha un consiglio presieduto da Fernando Mazzocca e una puntigliosa direttrice, Lucia Pini, si avvertono i primi segnali di una nuova stagione; e, per le cure di Elena Pontiggia, studiosa preclara, si propone, senza troppo clamore, la bella mostra “Klimt e i maestri ‘segreti’ della Ricci Oddi”.

Non so se la Pontiggia sa quanto io ami l’”Arte segreta”, titolo che diedi più di trent’anni fa a una mostra a Bologna. E il suo richiamo a una condizione di penombra vale a far capire il privilegio della Ricci Oddi  e delle sue collezioni. Le quali si presentano, nel percorso voluto dal fondatore, con l’integrazione di alcuni rari, e prevalentemente privati, dipinti degli stessi autori ricercati e conquistati da Ricci Oddi. 

E non dell’Ottocento questa volta , ma, in coerenza con il capolavoro di Klimt, del primo Novecento: Carlo Carrà (“paesaggi come poemi pieni di spazio e di sogno”), Felice Casorati (“dalla classicità alla realtà”), Piero Marussig (“figure e nature morte: una ricerca di equilibrio”), Arturo Tosi (“dal periodo alcoolico al paesaggio sintetico”), Gianfilippo Usellini (“una realtà magica”). 

Si possono così vedere opere rare, e molto ben scelte, dei suddetti pittori, con saggi esemplari che ne indicano la poesia e il merito. Segnalo “I pagliai” del 1929 e “Il veliero e il molo“ intimamente e pallidamente neometafisico, di Carlo Carrà; gli intensi e sapienti Casorati (notevoli il “Ritratto  di signora in nero” ,del 1924, dell’Eni Museum di San Donato Milanese, e le dolcemente amorose “Due donne”, del 1944, del  Museo della Permanente. Di Marussig spiccano la neocaravaggesca “Natura morta con mandolino” ,del 1925 e la fascinosa “Donna con uova”, del 1930. Sorprendente e imprevedibile, in un’epoca altissima, è il “Nudo alcoolico”, e veramente ebbro, del 1895, di Arturo Tosi, che sfiora l’informale.

Ma più di tutti appare poeta Gianfilippo Usellini, credo particolarmente amato da Ricci Oddi, che ne acquistò un capolavoro autonomo ma pertinente con il gruppo di Novecento della Sarfatti: la singolarissima “Natura morta” de 1926, capolavoro di intelligenza misteriosa e di sobrietà, ispirato alla mensola con attaccapanni tuttora esistente nello studio dell’artista ad Arona. Altrove Usellini tocca le corde di una sensibilità crepuscolare e ironica, nella direzione di Guido Gozzano, ma senza alcun sentimentalismo. Cosi’ vediamo la sua magrittiana “Terrazza sul giardino” , l’omaggio a Botticelli de “L’amor mio verrà dal mare”, singolare reinterpretazione della Venere che sorge dalle acque,  il comico “Cane barbone”, tutto occhi, le ironiche “Lavandaie” (oltre il doganiere Russeau ), il sublime “Materassaio” che crea le nuvole, come un Magritte finalmente ironico e divertito.

Indimenticabile “La cattura di Pegaso”, nella versione del 1966, che unisce il mito di San Giorgio e il drago di Paolo Uccello con il leggendario biplano di Bleriot, che attraverso’ la manica nel 1909, episodio mitico dell’infanzia di Usellini. Insomma: una mostra da non perdere. Che perderete.


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