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Il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri

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Siamo davanti all’assurdo che lo Stato invece di risarcire il danno arrecato ne approfitta per diventare con Invitalia e Cdp padroncino di quella stessa impresa. Manca la regia della politica economica che è nelle mani della macchina della complicazione che non riesce a cacciare soldi veri. Bisogna fermarli


Se devo andare da Milano a Roma con la massima urgenza prendo un treno superveloce senza fermate intermedie. Se devo fare metaforicamente questo tragitto per salvare il Paese in tempi di guerra e sono il ministro dell’Economia mi sposto con un volo di Stato per fare ancora prima. Nel percorso convoco gli uomini che appartengono alla storia nobile del Paese e gli uomini dell’opposizione che hanno sale in zucca e capiscono qualcosa di economia. Pretenderò ad horas il mio gabinetto di guerra perché devo prendere decisioni che fanno tremare vene e polsi e ho bisogno del massimo delle intelligenze e del massimo della condivisione per riuscire nell’impresa di proteggere l’economia italiana nei giorni del Coronavirus e della Grande Depressione Mondiale.

Se mi chiamo Roberto Gualtieri per fare questo tragitto, che unisce simbolicamente la capitale economica e la capitale politica dell’Italia, ma è indispensabile per salvare il Paese intero e dare risposte immediate alle due Italie con procedure semplici, deciderò di andare prima a Trieste per poi ridiscendere verso Napoli, dopo ancora raggiungerò con nave e treni scalcinati Palermo e, infine, con gli stessi mezzi risalirò verso Roma dove forse arriverò. Non so se vi sarà più il Paese che devo salvare. Questo è quello che è avvenuto con il cosiddetto “decreto rilancio” che prova a dare qualcosa a tutti con due mesi di ritardo e di cui non si conosce ancora il testo finale, ma si sa per certo che moltiplica al cubo con Invitalia e Cdp ridotte al ruolo di padroncini di Stato gli obbrobri da burocrazia di Bisanzio del primo decreto, da noi soprannominato di illiquidità, dove dominano assicuratori sull’export (Sace) guidati da damerini imbarazzanti alla Latini, tutele penali mancate alle banche e vincoli anacronistici come la Centrale Rischi, itinerari contorti con Mediocredito Centrale, Confidi, scartoffie su scartoffie e sempre e solo zero euro.

Questo succede a un ministro dell’Economia che pensa di affrontare la Depressione mondiale con i quattro gatti di via XX Settembre, anzi un gatto solitario che è il direttore Rivera, e rinuncia alla condivisione della politica economica in tempi di guerra con chi capisce di economia come lui e più di lui e di sicuro non gli fa perdere tempo perché capisce che questa è la priorità. Siamo a un livello così basso, spiace doverlo constatare, che perfino la più servile dei conduttori televisivi con tutti gli uomini dell’establishment radical chic, che è Lilli Gruber, si permette a 8 e ½ di strapazzare sbrigativamente il ministro dell’Economia con sguardi di sufficienza e frasi del tipo: abbiamo capito, con le banche non avete cambiato nulla e quindi le banche continueranno a non dare i soldi.

La Gruber è ex parlamentare europeo dello stesso partito di Gualtieri e sempre molto ossequiosa con la sua “casa politico-editoriale”, ma tratta l’uomo più importante del governo Conte che è alla guida dell’economia non con la “serenità” con cui si rivolge alla Meloni (per carità) ma di certo con l’atteggiamento che solitamente si riserva a un peso piuma. Colore a parte le critiche sono di sostanza.

Le piccole imprese italiane vanno risarcite del danno subito con la decisione dello Stato di chiudere le loro attività economiche e vanno aiutate con il credito. Servono abbastanza dell’uno e abbastanza dell’altro non ricapitalizzazioni pelose dello Stato che ti ha chiuso per motivi sanitari e che per lo stesso motivo diventa tuo socio. Siamo davanti all’assurdo che lo Stato dovrebbe diventare socio salvatore non di un’impresa che è fallita per fatti propri, errori propri, ma perché lo Stato gli ha chiesto di chiudere le sue attività e lo stesso Stato invece di risarcire il danno arrecato ne approfitta per diventare padroncino di quella stessa impresa. Se non siamo all’esproprio di Stato poco ci manca. Passi per Invitalia che è sempre stata una Gepi travestita ma trattare così Cdp e costringerla a fare l’espropriatore del capo bastone di turno è troppo. Se Autostrade e Telecom-Tim sono ridotte come sono lo si deve a scelte inavvedute di vario tipo e di varie responsabilità a privati inadeguati e affamati di profitto da rendita, ci piacerebbe che Cdp si impegnasse oggi con partite strategiche come queste, Alitalia, e altro ancora ragionando di politica industriale e privilegiando il modello dell’azionariato diffuso tipo Enel e Eni. Questo richiederebbe l’intelligenza politica del momento, ma non ce ne è traccia.

Diciamo le cose come stanno. Il gatto solitario è alle prese con qualcosa di più grande di lui e chi ha la responsabilità politica dell’Economia non è né Ciampi né Tremonti. Lo abbiamo detto, lo ripetiamo, stiamo scherzando con il fuoco. Ieri le banche scendevano a rotta di collo, sembrava Lehman. Gli autisti dei mercati finanziari, Powell (Fed) e Lagarde (Bce), hanno detto che l’economia soffrirà molto e che la ripresa non sarà veloce. I mercati fino a oggi avevano voluto credere il contrario, ma sanno bene che non è così. Per ora non succede nulla perché gli autisti comprano alla grande ma se l’Italia non doma il suo mostro burocratico e la politica non prende il comando e lo esercita in modo efficiente finisce male. La tempesta perfetta italiana è spostata a settembre con la scadenza delle tasse prorogate. Non abbiamo molto tempo per cambiare bruscamente direzione di marcia. Così non possiamo che unire alla beffa dei grandi numeri di spesa il danno di non saperli spendere. Deprimente.


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