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La sede del ministero delle Finanze

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Il Tesoro è sotto scacco di una classe dirigente ministeriale arrogante e senza competenze. Monte dei Paschi e Alitalia ne sono la conferma. Non c’è la macchina da guerra che sappia spendere i soldi comunitari e fare gli investimenti pubblici

Sono diventati tutti collettivisti, ma non sono in grado di gestire le imprese e di nominare amministratori capaci. Hanno in mano un sacco di soldi pubblici e una Cassa Depositi e Prestiti che muovono a comando a volte per sistemare gli affari loro e degli amici loro a volte per perseguire disegni espansionistici velleitari. Non sanno che in giro ci sono anche un sacco di soldi privati ma questo è un peccato veniale perché a loro quei soldi i privati non li darebbero mai. Sono sotto scacco di una classe dirigente ministeriale (di peggio c’è solo la burocrazia regionale) arrogante, piena di sé, che non ha competenze, non ha cultura industriale, non ha analisti finanziari, non ha ingegneri, non ha niente, sa solo scrivere leggi infinite che bloccano tutto. Se un investitore internazionale passasse dieci minuti in una di queste riunioni ministeriali scapperebbe dall’Italia e non ci tornerebbe più.

L’azionista Tesoro è riuscito a nominare un Consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi di Siena dove tra i suoi nuovi rappresentanti non ce ne è uno che abbia mai lavorato neppure per un giorno in un board bancario. All’Alitalia ci hanno messo un secondo a cacciare tre miliardi, ma continuano a litigare su chi deve fare l’amministratore delegato, di piano industriale che è la cosa più importante non si parla. Nella Prima Repubblica avevano la macchia della tessera politica, ma le persone scelte dai partiti erano competenti, erano professionisti della materia. Anche durante la lunga stagione berlusconiana Gianni Letta era molto attento a non scegliere persone improbabili, Tremonti aveva un brutto carattere ma i curriculum li guardava. Qui piovono nomine volute da chissà chi, nemmeno si capisce bene chi è l’autore dell’obbrobrio ripetuto. Siamo davanti a una classe politica che non è all’altezza e a una classe amministrativa che non è all’altezza di questa classe politica inadeguata. C’è da avere paura.

Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, si muove bene in Europa, ma è una frana totale in casa. Come il suo predecessore Tria è completamente assorbito dalla politica del giorno per giorno, firma tutto ciò che gli propina la potente burocrazia. Ha sigillato il più clamoroso “decreto illiquidità” partorito da un Paese occidentale, non si è corretto e, con il decreto rilancio, ha moltiplicato bizantinismi e brutte figure. Ha aperto la cassa ai Soliti Noti, appare totalmente prigioniero degli uomini delle pandette ministeriali. La polveriera sociale italiana è già esplosa, le diseguaglianze si allargano a vista d’occhio, la regia della politica economica assente. Per quanto possa apparire incredibile, evidentemente Gualtieri non ha fino in fondo la consapevolezza della straordinarietà dei tempi che viviamo. Altrimenti tutti questi collettivisti, più o meno travestiti, che sanno solo dire e chiedere “quanto ci serve”, verrebbero brutalmente rispediti al mittente.

Il punto oggi in Italia non è quanto ti serve, ma che cosa ti serve, come proteggere con soldi veri turismo, commercio e piccole imprese, quali infrastrutture e a partire dal Sud, quali servizi, come e dove fare gli investimenti pubblici, in che tempi dati e con chi per recuperare tutto ciò che non è stato fatto negli ultimi dieci anni. Questo programma di politica economica, un progetto in pochi punti per tornare a crescere, doveva essere pronto ad aprile, il ministro dell’Economia ci doveva mettere la faccia e i burocrati con molti sostituti dovevano essere a capo chino per fare ciò che il ministro voleva. Qui, invece, sono tornate a crescere le forze politiche che si combattono sul niente per conquistare quattro voti e sono tutti a vendersi i soldi europei che arriveranno all’inizio dell’anno prossimo. Vogliono comprare tutto ma noi siamo individualisti non collettivisti e dobbiamo essere organizzati non sovietizzati con una struttura centrale snella che torni a dare all’Italia la macchina da guerra per spendere i soldi comunitari e fare gli investimenti pubblici come era la Cassa del Mezzogiorno, ribattezzata la lepre dall’Economist, negli anni del miracolo economico italiano. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Mario Turco, con delega agli investimenti e alla programmazione ne è consapevole e ci ha scritto una bella lettera che pubblichiamo a fianco, ma bisogna che si mettano d’accordo tra di loro perché lui parla di Investitalia e di Palazzo Chigi, ma Gualtieri e Patuanelli dicono che la regia spetta a loro, spetta al Tesoro per il primo allo Sviluppo per il secondo. Bisogna che tutti e tre si mettano perlomeno d’accordo tra di loro.

Il marchingegno delle garanzie va visto ora non per quanto è stato dato ma per quanto è stato chiesto. Sono 18 miliardi per le pmi e 18,5 miliardi per le grandi di cui più di un terzo è stato chiesto da Fca Italia. Se l’economia va male e la gente non restituisce i soldi in prima battuta le banche prendono un bagno poi il conto lo paghiamo noi con nuovo debito pubblico che copre le grandi banche, le banche piccole che già soffrono ne risentiranno ulteriormente perché l’economia non assistita è abbandonata. Per capire come ci siamo mossi, basti pensare che i crediti complessivi in essere sono 700 miliardi, noi abbiamo acceso garanzie per 500 miliardi, un numero molto grande che vale il 25% del pil, ma i nostri prestiti mediamente non sono molto alti perché le nostre imprese non sono molto indebitate, le nostre imprese sono piccole, hanno bisogno di fondo perduto compensativo non delle garanzie di carta che vogliono i Soliti Noti. Se dovesse ripetersi ciò che è accaduto con le due Grandi Crisi internazionali 2007/2009 e 2011/2012 i crediti non restituiti coperti da garanzie pubbliche dovrebbero essere il 20% del totale che significano da qui a un anno o due, su 500 miliardi di nuove garanzie, qualcosa come 100 miliardi di nuovo debito pubblico.

Sembrano agire, soprattutto al Tesoro, a tentoni. Non hanno una forma mentis sufficientemente ampia per fare tante cose e quindi ne mettono una sopra l’altra. Ci permettiamo di suggerire a Gualtieri di seguire il modello di lavoro suggerito dalla relazione del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che non è un programma politico, che non si sostituisce alla politica come dice chi fabbrica notizie inventando riunioni e facendo le solite errate elucubrazioni, ma è il programma serio di chi ha la credibilità per dire le cose, conosce e rispetta le regole delle istituzioni in casa e fuori, sa che cosa è il mercato. Sono idee per il nuovo medio, lungo termine. Sono un progetto compiuto per il Paese che non vende illusioni e può consentire di prendere anche soldi privati in giro per il mondo. Il problema italiano è la mancata crescita, lo sviluppo squilibrato, la Pandemia globale da questo punto di vista è una grande opportunità per dire all’ imprenditore che cosa ti impedisce di crescere oggi, dimmelo ho i soldi per aiutarti, o per mettere a posto le scuole, dare lavoro a tanti, per cominciare a costruire l’istruzione e la ricerca del futuro. Per fare le opere che unifichino infrastrutturalmente le due Italie, sul piano materiale e digitale, e per potenziare il sistema sanitario in modo da essere in grado di affrontare le nuove emergenze e evitare che tornino a distruggere il sistema economico. Per fare studiare meglio la gente, scegliere le aziende innovative e spendere qui, cambiando il contesto ambientale, con un piano di lungo termine che prevede un’altra macchina pubblica al comando esecutivo e dove si può attingere a Banca d’Italia per contributi specifici su progetti specifici non per fare nuovi comitatoni.

L’analisi di Visco è complicata, le parole sono sentite, i richiami e gli avvisi non sono scritti nell’acqua. La parte politica è l’esigenza non più eludibile di un confronto, di un dialogo per fare insieme le cose, perché maggioranza e opposizioni non hanno una linea di comando forte ma una linea di mediazione di comando e i mille fiori di Colao non sono la base su cui costruire il futuro. Il governo Conte deve trovare un modo per organizzarsi perché ha la straordinaria opportunità di avere un sacco di soldi da spendere e deve dimostrare di sapere fare le riforme in tempi record per spenderli bene. Il metodo di governo e di chi ne fa parte non può più essere ogni volta che non si è d’accordo o si litiga: non ci sto, scasso tutto. Per governare oggi serve la legittimazione della società non inseguire linee oligarchiche. È cambiato tutto, i compromessi di prima non reggono più.


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