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GARANTIRE le libertà, avere il coraggio di un pensiero autonomo, assumersi – soprattutto – la forza della responsabilità. Questi i principi cardine nel rispetto dei quali questo giornale – è sempre utile ribadirlo – si avvia a percorrere il nuovo anno, nella bufera dei tempi e della precarietà della professione. Nel giorno del lutto per i colleghi francesi uccisi, ringraziando l’editore per il rinnovato rapporto di fiducia per la guida del Quotidiano in Basilicata, le parole per nulla scontate che possono accompagnare la paura e il dolore di momenti come questi (prima della fine dell’anno ricordiamoci che altrettanti giornalisti sono stati arrestati in Turchia), sono quelle di una istintiva reazione a ogni tentativo di massificazione del pensiero. Oggi non è più in gioco la possibilità di dire qualcosa, cioè la libertà di pensiero e di stampa (ovviamente laddove queste libertà sono garantite)- basta connettersi e sentirsi appagati – quanto, piuttosto, la capacità di resistere alla lapidazione pubblica dei conformisti molto convinti delle loro ragioni. E non parlo tanto della politica – sono allenati alle critiche e alla adulazioni – quanto all’intreccio delle voci dei molti fondamentalisti del pensiero unico. Tra la rabbia collettiva e la mancanza di credibilità della politica il bersaglio preferito siamo noi giornalisti. Mentre si ammazzano colleghi in tutto il mondo e mentre in Italia ogni giorno c’è qualche cronista minacciato, soprattutto in Calabria, occorre un grande sforzo di serietà e di convinzione per continuare a raccontare terre molto impenetrabili. La Basilicata non fa eccezione. Considerata l’assalto della folla degli anonimi. C’è solo un modo per continuare a svolgere una funzione fondamentale, essere trasparenti nel rapporto con il lettore, avere il coraggio di firmare il proprio pensiero.

 

I mesi trascorsi sono stati molto difficili. Divisi tra lealisti e ribelli sul petrolio, in una battaglia che è stata molto politica, che non si è ancora conclusa e che ha avuto anche una triste propaggine a carico di una collega (Cinzia Grenci) vittima di odio e di insulti. L’anno si riapre con il rischio di spaccarsi di nuovo sull’altro tema per nulla secondario, quello della scomparsa della regione Basilicata. Anche qui prevedo auspici nefasti, sul terreno di un ripetitivo scontro tutto interno al Pd (che certo con i giochi natalizi di Renzi non contribuisce a trasmettere fiducia, ma l’alternativa in questo momento è Salvini). Ho molto apprezzato la posizione di due parlamentari che abbiamo intervistato sul tema nei giorni scorsi, la parlamentare calabrese Enza Bruno Bossio, e l’europarlamentare campano Cozzolino. Nessuno dei due ha escluso a priori che l’accorpamento di più territori in una macroregione possa essere utile, come sottolineava ieri, nell’incontro con i giornalisti, anche il nuovo prefetto di Potenza, Antonio D’Acunto. I due parlamentari hanno però sottolineato la necessità di un disegno concordato affinché la geografia del Mezzogiorno si accompagni con il sentire dei luoghi. Che non può diventare, però, ostile freno a una decisione finale. E’ possibile giocarsi questa partita (ammesso che sia imminente) con uno spirito diverso da quello che ci ha logorato sul petrolio? Non si può dire che il presidente della Regione si sottragga al confronto, loggato dappertutto. E’ possibile dialogare pacificamente? La politica tutta può fare uno sforzo di serietà? Bisogna tessere una grande rete di collaborazione meridionale, per avere vantaggi reciproci. Sforzandosi di produrre un progetto, un’idea che possa essere una pietra significativa nella storia che lasciamo. Non dimentichiamo qual è il punto di partenza: la reputazione molto alta della regione all’esterno, la grande partita che ci giochiamo a livello internazionale con Matera. E la città, per quello che rappresenta dagli albori dell’umanità, ben rappresenta insieme a tutta la regione il desiderio di pace e di fratellanza tra tutti i popoli.

Ieri il titolo della prima pagina sintetizzava il mio pensiero: ci sono molte cose che occorre rivedere e sistemare a Matera ma – faccio mie le parole di Roberto Cifarelli – magari avessimo ogni giorno da aggiustare situazioni come queste. La critica è indispensabile, può essere espressa con le parole per nulla contundenti del presidente della camera di commercio, Tortorelli, che certo non è sospettato di essere “contiguo” al macchinista Adduce. O con le parole che vorrebbero essere di sarcasmo e di denuncia ma finiscono con l’apparire affette da avversità a tutti i costi di un Cotugno. Sapremo essere all’altezza di questa scommessa sapendo che se c’è più traffico (come a Salerno per le luci) è perché c’è più gente, se non si trovano posti in albergo è perché ci sono turisti, benedetti loro? Oltre a ragionare su cosa sia utile da dare in questi anni a chi arriva a Matera. Sul presepe, per esempio, che tanto sta facendo parlare in questi giorni, io mi preoccuperei, più che dei resti del passaggio che si puliranno, di quei tendoni bianchi stile festa della birra che hanno occupato i Sassi durante il percorso. Non rappresentano né la storia di Matera né un’idea avanzata di qualcosa. Sono semplicemente trash e frutto di un accordo commerciale, quello stesso accordo commerciale che va subito definito per l’accostamento del logo della capitale ad attività economiche. Per tornare ancor a Salerno, ricordo ancora quello che disse il sindaco De Luca in una storica assemblea davanti agli industriali della città: arricchitevi. Fece molto scalpore, detto da un comunista, ma esprimeva l’idea di una città postideologica che doveva produrre una novità e per il bene di tutti. E ce ne voleva a imporsi sul mercato considerata la vicinanza di Napoli. Pensiamo un attimo a cosa può diventare Matera. Non dobbiamo storcere il naso davanti a ragionamenti che hanno a che a fare anche con la ricaduta economica della vittoria. Ha senso allora discutere di come attrezzarsi, di come allargare – al resto della Basilicata possibilmente, prima che alla Puglia – la ricettività ad esempio, senza ovviamente pensare di occupare un solo centimetro in più di terra. Ce la facciamo da soli? Il giornale, i giornali, sono luoghi aperti dove discutere.

Con il cuore gonfio di dolore per il barbaro massacro dei colleghi francesi, rinsaldiamo allora il nostro patto di fiducia con i lettori. Sappiate tutti, però, che viviamo tempi difficili, aggravati dalle difficoltà di sostenibilità economica che qualunque servizio, incluso quello dell’informazione, ha in una regione complessa geograficamente e piccola come la Basilicata. Noi siamo al posto di sempre, voi non lasciateci soli.

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