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LAGONEGRO – Dopo il dissesto di bilancio evidenziato pochi giorni fa dai giudici della sezione regionale della Corte dei Conti, che hanno stimato un disavanzo pari a 996.847,89 euro, l’amministrazione comunale di Lagonegro ha rischiato un esborso di più di 1 milione per la vicenda relativa all’affitto dei terreni dell’asilo nido di Via Calabria.
La prima sezione del Tar di Basilicata infatti, con sentenza depositata il 16/02/15, ha dichiarato irricevibile la richiesta di risarcimento di 1.353.419,77 euro richiesta dagli eredi del vecchio proprietario del terreno, che avevano principalmente chiesto chiesto la restituzione dei terreni con annessa demolizione dell’asilo.
L’istituto, noto a tutti in paese, fu costruito a seguito di un esproprio. I lavori della scuola cominciarono nel giugno del 1977 e vennero ultimati tre anni dopo, nel maggio del 1980. Nel 1981 l’ente versò la liquidità dovuta per l’indennità di espropriazione provvisoria non provvedendo però, contestualmente, a sanare la situazione dal punto di vista legale ed amministrativo emanando un provvedimento di espropriazione definitiva. A seguito di una modifica dei registri catastali parte del terreno su cui insiste l’edificio scolastico, successivamente destinato alle funzioni di asilo nido, venne a trovarsi in una “particella diversa da quella individuata con il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza” poiché l’iter di esproprio non era stato concluso. Da allora le varie amministrazioni succedutesi hanno accantonato il problema e soltanto nel 1998 venne dato incarico al Geometra Michele Rocco Viola di perfezionare il procedimento: la somma richiesta, cui vanno aggiunti peraltro gli interessi legali e quelli di rivalutazione monetaria era così suddivisa: 492.975,14 euro a titolo di compensazione per l’occupazione illegittima del terreno; 605.134,63 corrispondenti al valore dell’edificio; 232.100 pari al valore di mercato dei terreni e 23.210 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Ma il Comune di Lagonegro, costituito in giudizio sulla vicenda ha tirato fuori una sentenza della Corte di Appello, passata in giudicato, che di fatto ha reso inammissibile il ricorso. In quella sentenza, la numero 30 di marzo 2004 è stato stabilito che il trasferimento della proprietà dell’area, al Comune si era «già verificato in virtù dell’accessione invertita». Il che significa che è riconosciuta l’occupazione appropriativa dei terreni, perché, come da sentenza «si era verificata l’irreversibile trasformazione del bene».
Inoltre, la Corte d’Appello di Potenza ha precisato che un successivo decreto di esproprio non poteva «produrre alcun effetto, dato che, una volta realizzata l’accessione invertita, viene a mancare lo stesso oggetto dell’ablazione» e questo vale anche per provvedimento di espropriazione definitiva «per la semplice e decisiva ragione che non si può espropriare un terreno già proprio».

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