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Sergio Mattarella

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Sarà quella che viene la settimana della verità? Nel senso di capire se la crisi attuale, che c’è già per quanto non di tipo “parlamentare-governativo”, si scioglierà con l’avvio di un nuovo governo o con quello di un percorso che porta alle elezioni anticipate.

Cerchiamo di spiegarci, perché, nel bailamme di interpretazioni e letture più o meno velenose di quanto ci aspetta, c’è da perdersi. Punto primo: l’attuale governo non può sostanzialmente sopravvivere. Qualsiasi soluzione si trovi sarà un governo diverso, riuscisse pure l’acrobazia di andare avanti con (quasi) lo stesso personale politico e lo stesso premier.

In quel caso avremmo o un premier dimezzato e una compagine governativa di fatto commissariata (ipotesi che vengano accettate la maggior parte delle condizioni poste da Renzi, ma in buona parte anche dal PD), oppure un governo che si regge su una nuova geografia parlamentare (ipotesi di Conte che sostituisce i voti di IV con un’operazione trasformistica di parlamentari abusivamente definiti “responsabili”). In questo secondo caso c’è l’incognita di come il Quirinale reagirebbe ad un pastrocchio del genere.

Punto secondo: la crisi porta invece alla ricerca di un vero nuovo governo, dunque con un premier diverso. Questo punto è essenziale, perché chi ritiene Conte non più spendibile non guarda solo alle sue vere o presunte inadeguatezze, guarda anche al grumo di interessi e poteri che gli si sono coagulati intorno e che lo spingono a non mollare, perché in quel caso il premier forse si salverebbe, ma loro no.

È questo il passaggio che può portare alle elezioni anticipate. Infatti se non fosse possibile chiudere in poco tempo la partita che porta ad un nuovo e autorevole (sottolineiamo questo aspetto) esecutivo, a Mattarella non resterebbe che avviare l’iter per rimettere la questione nelle mani degli elettori.

Sarebbe evidente infatti che l’attuale conformazione del parlamento non regge, che non è neppure più idonea ad affrontare l’appuntamento con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica: di conseguenza si dovrebbe, pur con tutta l’angoscia che circonderebbe una scelta del genere in tempi difficili come i nostri, chiedere al popolo di certificare un’altra rappresentanza.

Certo questo avverrebbe con un quadro istituzionale quantomeno sfilacciato per l’irresponsabile cedimento ai pruriti grillini anti casta che hanno tagliato i parlamentari e per l’incapacità di correggere almeno i guasti di una riforma scritta da incompetenti con riforme di inquadramento a partire da una adeguata legge elettorale. Ma questo a sua volta genera altre conseguenze.

Innanzitutto dovrebbe spingere la parte davvero responsabile della classe politica nel suo complesso, maggioranza e opposizione, a valutare seriamente se non sia il caso di trovare la soluzione di un governo di transizione che risponda al dovere di confrontarsi con l’emergenza in corso. Incluso il problema, che Mattarella ha menzionato nel suo discorso sebbene non sia stato molto rilevato, che l’Italia deve presiedere il G20 e non può certo farlo adeguatamente con un governicchio: né quello fondato sul trasformismo di presunti responsabili che terrebbero in sella Conte, ma neppure quello di un governo con un altro premier, ma di basso profilo e nel suo complesso di nuovo ancorato alle fibrillazioni di partiti in cerca d’autore.

Se nel parlamento attuale non fosse possibile trovare la via per una uscita dignitosa dalla crisi con un nuovo governo di adeguata autorevolezza (e teniamo conto che c’è da garantire un’operazione complessa e decisiva come la campagna vaccinale!), a Mattarella non resterebbe che optare per la fine della legislatura. Però anche questa opzione prevede che comunque ci sia un governo in carica, perché non è che si vota nel giro di una settimana, ci vogliono minimo tre mesi e intanto la “macchina” pubblica deve andare avanti. Certamente questo rappresenta un bel rebus. Ci pare improponibile, visto il contesto, la conferma in carica dell’attuale governo “per il disbrigo degli affari correnti”.

Di conseguenza, accertata l’impossibilità di mettere in piedi un governo di transizione elettorale su iniziativa concorde dei gruppi parlamentari (non crediamo che ci sia gran voglia di intestarsi questa responsabilità in partiti che andranno a sfidarsi a morte nelle urne), non rimarrà che l’ipotesi di un “governo del Presidente”, l’unica autorità che ha oggi la credibilità di esprimersi come portatore di un interesse nazionale super partes.

Questo è quel che ci pare di capire cercando di analizzare una situazione di notevole complessità. Poi in politica, come nella vita, può succedere di tutto e la razionalità non è una delle opzioni su cui puntare con più forza. La lotta politica in questo paese ha un lungo retroterra: è partita in questa forma esasperata decenni fa ed ha portato al successo, speriamo effimero, di quelli che credevano di potersene liberare fuggendo nelle varie utopie (sostenuti da compiacenti pifferai pseudo-magici).

Ci ha portato a questo punto nel momento peggiore: con una pandemia in corso che sconvolge vite ed equilibri e con il rischio di perdere l’opportunità di un gigantesco finanziamento europeo alla nostra ripresa.

Quando Mattarella ha richiamato che questa è “l’ora dei costruttori” non invocava una paralisi intorno all’esistente, ma il coraggio di “cambiare quel che va cambiato”. Si dovrebbe almeno provarci.


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