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REGGIO CALABRIA – Chiara Rizzo, la moglie di Amedeo Matacena, ex deputato di Forza Italia latitante a Dubai, arrestata nell’ambito dell’inchiesta che ha coinvolto anche l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola (LEGGI LO SPECIALE SULL’ARRESTO), ha incontrato presso il carcere di Reggio Calabria il senatore di Grandi Autonomie e Libertà, Lucio Barani che stava visitando il carcere di Arghillà di Reggio Calabria. Da qui ha lanciato il proprio appello per rivedere il proprio figlio: «Da quando sono detenuta non ho più notizie di mio figlio quindicenne, ho bisogno di aiuto. Non so – ha aggiunto – se sta con la sorella. Non so chi si sta prendendo cura di lui».

 
 
Ma nel corso dell’incontro la Rizzo ha poi aggiunto che «non mi consentono nemmeno una telefonata con mio figlio minorenne. E’ davvero una situazione anomala. Io – ha aggiunto la donna – non ho fatto nulla di male. Amo la mia famiglia ed ora sono privata dei miei affetti». Ma è stata una Chiara Rizzo a 360 gradi quella che si è aperta a Barani e che ha anche confessato che «nel carcere di Marsiglia sono stata tratta molto male. Mi hanno sistemato con alcune prostitute in condizioni davvero precarie». Chiara Rizzo, nel corso dell’incontro, era in lacrime e provata ma ha voluto anche aggiungere che «andavo a trovare mio marito perché lo amo e non pensavo che fosse un reato. Voglio bene alla mia famiglia – ha aggiunto – e credo di non aver fatto nulla di sbagliato. Perché non dovevo andare a trovarlo? Ed ora mi tengono in carcere per questo motivo? Francamente mi sembra tutto assurdo».
 
 
L’INTERROGATORIO DEI PM – Parlando, invece, con i pubblici ministeri, il cui verbale dell’incontro è stato depositato stamani al Tribunale del riesame, la donna ha voluto precisare di non aver «mai pensato che le domande di asilo potessero essere considerate una condotta illegale», ed ha aggiunto, diversamente da quanto detto a Barani che «la procedura di separazione da mio marito è effettiva. La mia decisione è originata dal desiderio di iniziare una nuova vita». Separazione, invece, definita «apparente» nell’ordinanza di custodia cautelare, perché secondo la Dda reggina avrebbe fatto parte della strategia messa in atto dalla Rizzo per schermare i beni del marito e renderli insequestrabili.
In relazione alla questione sul trasferimento da Dubai al Libano del marito, poi, la Rizzo ha affermanto che «è stata introdotta e gestita da Scajola, al quale avevo detto della domanda di asilo politico in Svizzera», inoltre, ai due magistrati la donna ha detto di avere sempre cercato di convincere il marito «ad affrontare la carcerazione e di non sottrarsi all’esecuzione della pena» a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Per quanto riguarda la Porsche Cayenne di cui Scajola voleva sapere l’intestatario le era stata «regalata da Francesco Bellavista Caltagirone, al quale mi lega un rapporto di amicizia». Chiara Rizzo dice di non sapere «quali siano le ragioni del legame così forte tra mio marito ed il ministro Scajola», ma specifica che l’ex ministro «era a conoscenza» del precedente soggiorno di Matacena alle Seychelles, dove si era rifugiato subito dopo essersi sottratto all’arresto. Poi aggiunge che era stato Scajola a parlarle dei suoi rapporti con l’imprenditore catanzarese Vincenzo Speziali e con l’ex presidente libanese Amin Gemayel. Il meccanismo messo in moto, però, per stessa ammissione della Rizzo, si interrompe «quando è scoppiato il caso Dell’Utri. Ne ho parlato con Scajola – spiega – ed ho capito che quell’incidente aveva inciso negativamente». Ma le speranze non erano perdute. La moglie di Matacena riferisce di una telefonata di Scajola in cui le parlava «di un piano B che prevedeva un impiego di mio marito a Dubai». Telefonata che la donna colloca tra il 6 o 7 maggio, appena uno-due giorni prima degli arresti. Dal giorno dell’interrogatorio Chiara Rizzo attende l’esito dell’istanza di scarcerazione presentata dai suoi legali al gip.
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