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IL PREMIO “Capitale Europee della Cultura”(Cec) è tra i programmi culturali dell’UE più longevi e più apprezzati. Il fattore determinante è stato, e continua ad essere la sua caratteristica di essere costruito dal basso. Anche laddove l’iniziativa sia promossa dalle istituzioni (come ad Amsterdam nel 1987) e non da associazioni di cittadini (come nel caso di Matera) il suo svolgimento e i suoi effetti riguardano sempre una comunità abbastanza circoscritta.

Nel suo percorso trentennale si possono riscontrare alcuni aspetti peculiari che la distinguono da tutti gli altri interventi dell’UE in materia di cultura, e che ne fanno un’iniziativa di successo.

Il più importante è sicuramente il fatto che la Cec si pone implicitamente lo scopo di ricostruire il territorio in chiave europea: soprattutto dalla nomina di Glasgow nel 1990 in poi, spesso ha raggiunto lo scopo. L’intuizione da parte delle istituzioni cittadine che fosse l’occasione per dare una spinta ai cambiamenti già in atto, più che un riconoscimento simbolico, ha cambiato l’approccio al premio da parte di tutte le città che si sono susseguite. Di pari passo è aumentato anche l’impegno che le diverse aspiranti hanno profuso nella programmazione degli eventi e nella (ri)progettazione dello spazio urbano in chiave culturale. Anche se in poche occasioni questo impegno si è tradotto in cambiamenti stabili, in linea generale ha rappresentato un movimento positivo, cioè non ha prodotto effetti collaterali.

Altra questione di rilievo è il tentativo di creare un patrimonio culturale comune europeo attraverso la mobilità di artisti, opere e operatori culturali, avvalendosi di reti tra città, istituzioni culturali, enti territoriali e cittadini. Questi scambi sono un’opportunità per tutte le comunità coinvolte di conoscere realtà culturali importati normalmente difficili da raggiungere, un esempio può essere il concerto della “Filarmonica della Scala” a Salonicco nel 1997.

L’interazione tra la ricostruzione del territorio in chiave europea e l’incremento degli scambi culturali tra realtà diverse dell’Unione ne fanno sicuramente uno dei mezzi più riusciti per la costruzione della tanto agognata “European Citizen” (cittadinanza europea). E ciò varrebbe anche solo per il fatto di rappresentare un input importate per meccanismi di creazione (culturale, organizzativa, di infrastrutture, sociale) che avvengono con il sentimento di realizzare dal basso ed insieme una proposta di “Cultura Europea”.

Per ciò che attiene “Matera 2019” sia alle prime fasi della sua candidatura. L’intento è quello di cercare di “scattare una foto del movimento” per individuare la direzione.

Il punto fondamentale nonché il fulcro della candidatura di Matera è di mettere la parole fine alla lunga questione del disagio della città e del meridione in generale. Un disagio che è più un sentimento percepito dall’esterno che una realtà vissuta. Come lo stesso dossier di candidatura mostra chiaramente il problema se c’è non riguarda per nulla il disagio, tutt’altro. Il nodo è il diverso modo di rapportarsi con l’ambiente, un modo culturale, radicato nelle tradizioni e scavato nella roccia. Pochissime città al mondo possono vantare una storia millenaria come Matera e nessuna di queste può guardare al futuro senza tenerne conto. Per questo il centro lucano si è dato l’obiettivo di promuovere il suo punto di vista, non solo riguardo l’Europa, ma anche sulla funzione che oggi possono avere “radici e percorsi”.

Espressione di questo impegno, e al contempo ardua sfida, è l’istituzione di un grande museo demoetnoantropologico. La città, e il sud, non vuole e non deve più “vergognarsi” delle sue tradizioni ma andarne fiero, mostrarle, farle diventare il vero “vantaggio competitivo” che può ridarci fiducia e farci affrontare le nuove competizioni del mondo globale a testa alta.

Strettamente connesso a questa fierezza è l’altro programma di bandiera: Craftsman 2.6. Se il Dea ricupera alla storia le tradizioni, il Craftsman vuole mettere in connessione queste conoscenza con le nuove tecnologie, con lo scopo di dargli nuova vita e nuove possibilità.

Oltre questi grandi progetti principali, che sono espressione dell’idea di fondo della proposta materana, almeno altri due aspetti vanno presi in considerazione, anche se rientrano più negli intenti generali che in vere e proprie azioni.

Il primo è il richiamo al diverso modo di vivere l’ambiente, che nel dossier viene riassunto nei concetti di “lentezza, riuso e frugale”. In effetti essi rappresentano in modo inequivocabile tutto il sud (del mondo). La loro rilettura in chiavi di possibilità e non più di zavorre è intrigante e allo stesso tempo credibile. I materani per millenni hanno abitato un luogo roccioso, povero d’acqua e si sono ingegnati per creare, nei secoli, lentamente, un sistema di conservazione delle acque piovane efficientissimo e unico al mondo (che è il motivo principale che l’ha resa patrimonio Unesco). Lo stesso metodo di costruzione non prevedeva scarti, ma solo (ri)utilizzo. Inoltre i Sassi sono tra i pochi luoghi al mondo dove camminando si respira la storia e dove la lentezza non è un fardello ma un bisogno strettamente legato alla riflessione e alla spiritualità.

Pienamente connesso all’aspetto interiorizzante dell’architettura “in negativo” che caratterizza i Sassi e la Murgia materana è il secondo aspetto. La nomina per la città sarebbe l’opportunità di sperimentare “un nuovo modello di cittadinanza culturale”, sintetizzato nell’accezione “abitante culturale”. Il modo per raggiungerlo è “ritornare a considerare l’arte, la cultura e l’espressione creativa come appartenenti ad dominio del quotidiano”. Anche questa linea guida è affascinante, tanto più se pensiamo al passato recente e quell’idea che voleva il meridione italiano pervaso dalla sottocultura e dall’analfabetismo. Probabilmente è stato così, ma ora non lo è più: questo ci sembra voler dire l’impegno programmatico su questo fronte.

La congiunzione tra la valorizzazione delle radici e la proposta di un nuovo cittadino (-europeo) culturale è il vero punto forte della candidatura di Matera che in quanto ha coerenza del progetto ha pochi rivali (anche tra le Cec passate). Il motivo è che se davvero la città riuscisse a tradurre in realtà queste aspirazioni potrebbe, senza timore, porsi come il nuovo modello di “Capitale Europea della Cultura” che trasforma la cultura da evento a quotidianità.

L’unico punto di domanda che rimane in sospeso è quello che riguarda l’enormità dei fondi destinati a questo progetto, quasi un miliardo di euro. Di per sé la cosa potrebbe essere positiva se non facessero parte delle spese oggetti poco chiari. Ad esempio “Matera verde” 18 milioni di euro, di cui non si capisce bene lo scopo per una città immersa in un paesaggio naturalistico eccezionale che convive a poche centinaia metri in linea d’aria dai Sassi (sull’altra sponda della gravina) con il “Parco naturalistico regionale della Murgia materana”. Oppure 50 milioni per il sistema di metropolitana in una città di poco meno di 60.000 abitanti, o i 16 milioni preventivati per un progetto chiamato “Matera dello sport”, senza ulteriori specificazioni.

Al netto di ciò, tra i programmi delle candidate alla Cec quello di Matera è uno dei più interessanti e convincenti. In più è palese che la candidatura ha messo in moto un processo di rinnovamento e partecipazione che comunque vada rimarrà patrimonio della città e che, già adesso, ha aumentato la sua centralità culturale a livello locale ed europeo, anche grazie alle numerose reti culturali europee di cui è entrare a far parte grazie alla Cec.

Nel 1958 Jean-Jacques Rousseau scriveva “piantate in mezzo a una pubblica piazza un palo coronato di fiori, ponetevi intorno un popolo, e otterrete una festa” quasi a dimostrare che i momenti di partecipazione si costruiscono attorno a idee semplici e condivise e che l’evento (il palo coronato di fiori, nel nostro caso la Cec) non è lo scopo ma solo il pretesto della festa.

 

*L’autore di questo scritto è neolaureato con una tesi su Matera Capitale

 

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