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Il tribunale di Catanzaro

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CETRARO (COSENZA) – Il pubblico ministero Romano Gallo ha chiesto 127 anni di carcere per i 13 indagati del processo “Katarion” che hanno scelto di seguire il rito abbreviato. L’udienza si è tenuta ieri mattina, presso il tribunale di Catanzaro, innanzi al giudice per le udienze preliminari distrettuale e, nonostante si sia trattato di riti abbreviati – che prevedono uno sconto di pena proprio perla scelta del rito – le condanne chieste dal pubblico ministero sono state molto alte.

Ma, passiamo alle richieste, formulate in una requisitoria scritta: Giuseppe Antonuccio (difeso dall’avvocato Cesare Badolato), 14 anni di carcere; Mario Cianni (avvocati Giuseppe Bruno e Armando Sabato), 20 anni; Poldino Cianni (Badolato), 9 anni; Annaelisa Esposito (avvocato Francesco Liserre), 4 anni 8 mesi; Flavio Graziosi, agli arresti domiciliari, (difeso dagli avvocati Badolato e Giovanni Salzano), 9 anni e 6 mesi di reclusione; Alessio Presta (avvocato Liserre), 7 anni; Alfonso Scaglione (avvocato Antonio Crusco), 8 anni; Maurizio Tommaselli (avvocato Marco Bianco), 10 anni; Luigi Tundis (avvocato Cesare Badolato), 10 anni; Franco Valente (avvocato Rossana Cribari), 14 anni; Gianluca Vitale (avvocato Riccardo Errigo, Giuseppe Bruno e Armando Sabato), 12 anni; Concettina Zicca, (avvocati Armando Sabato e Giuseppe Bruno), 9 anni.

Al termine della requisitoria del magistrato, il Gup di Catanzaro, Paola Ciriaco ha calendarizzato le prossime udienza del processo, che si terranno nei giorni: 19 gennaio, 28 febbraio e 11 marzo. Per quest’ultima data è prevista anche la sentenza.

Nel processo “Katarion”, lo ricordiamo, figura quale parte civile regolarmente costituita per il tramite dell’avvocato Carlo Carere, l’associazione antiracket di Cosenza; mentre sono cinque le persone offese individuate, unitamente al ministero della salute e dell’interno.

L’operazione antidroga contro il clan Muto, è scattata lo scorso mese di settembre ad ha visto complessivamente 49 indagati per 68 capi di imputazione contestati, tra i quali il traffico di sostanze stupefacenti aggravato dalla disponibilità di armi e dall’agevolazione della cosca. I carabinieri hanno documentato circa 250 episodi di cessione di droga ed episodi estorsivi che in tre casi hanno riguardato imprenditori e commercianti della zona.

Fiumi di droga venduta dagli esponenti del clan Muto, anche per mantenere i detenuti e loro famigliari, dai piccoli spacciatori di quartiere per poter coprire le spese del consumo personale, e la “tirano” e fumano tantissime persone, a prescindere dal titolo di studio o dalla posizione economica. Non dovrebbe stupire, pertanto, che sia una nonna disperata a provare a mettere fine a questo mercato illecito e devastante. La donna, esasperata dalle condizioni del nipote, si è recata dalle forze dell’ordine per denunciare la drammatica situazione che sta vivendo la sua famiglia. È quello lo spunto consegnato agli inquirenti per indagare nuovamente sulla piazza di spaccio a Cetraro e dintorni, nonostante, soltanto qualche mese prima, la Dda di Catanzaro avesse provato a ripulire il territorio togliendo soldi, ossigeno e uomini al locale clan di ‘ndrangheta, facente capo al boss Franco Muto, arrestato nell’operazione Frontiera del 2016, ma oggi totalmente estraneo alle accuse mosse nella nuova inchiesta condotta dagli uffici guidati dal magistrato Nicola Gratteri.

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