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Il progetto del ponte sullo Stretto

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Basta la Sicilia da sola per capire la portata economica dell’intervento. Sono cinque milioni di persone, un dato che delinea il nuovo mercato perché rende in termine di Pil, consumi, trasporti, merci che si spostano, di relazione tra Sud e Sud. La riprova è che più governi hanno deciso di farlo, ma poi hanno sempre abbandonato per ragioni politiche, non economiche. Che sono poi le stesse che hanno suggerito al ministro Giovannini la strada dello studio di fattibilità e non quella dell’apertura del cantiere. A realizzare il Ponte sullo Stretto sono pronti capitali privati internazionali sicuri della redditività dell’opera, ma c’è il rischio che le stesse ragioni politiche facciano in modo che si creino problemi sulle tariffe. Bisogna mettere a terra gli investimenti. Non bastano le figurine e le relazioni. Servono cantieri aperti e stati di avanzamento dei lavori riscontrabili

Siamo al cuore del problema italiano, non del Mezzogiorno. Che riguarda le priorità negli investimenti infrastrutturali e la capacità effettiva di realizzarli per riunificare le due Italie. Anche se volessimo continuare a raccontare la storiella (sbagliata) che le infrastrutture di un Paese si fanno solo se rendono, come se fosse possibile fare sviluppo senza crearne prima le condizioni di contesto ambientale, il Ponte sullo Stretto dovrebbe essere la priorità delle priorità. Invece no, anche quando rende di sicuro perché genera prodotto interno lordo e ne moltiplica tanto altro il Ponte sullo Stretto non si fa. Si preferisce studiare tutto ciò che è stato studiato fino alla nausea. Si confondono progetti esecutivi con studi di fattibilità. Si perde tempo.

Parliamoci chiaro. Se c’è un’infrastruttura che rende di sicuro è questa per una cosa banale, ma incontrovertibilmente vera. Unisce un’isola con cinque milioni di abitanti al territorio italiano e al continente europeo. Come peraltro l’Europa vuole e ha più volte vibratamente chiesto l’ex commissario, Karel Van Miert. Basta la Sicilia da sola per capire la portata economica dell’intervento. Sono cinque milioni di persone e non c’è dubbio che questo solo dato delinea il nuovo mercato. Perché rende in misura importante in termini di prodotto interno lordo (Pil), di consumi, di trasporti, di merci che si spostano, di aziende siciliane che possono vendere, di relazione tra Sud e Sud.

La riprova è che più governi hanno deciso di farlo, ma poi hanno sempre abbandonato per ragioni politiche, non economiche. Che sono poi le stesse che hanno suggerito al ministro Giovannini la strada dello studio di fattibilità e non quella dell’apertura del cantiere per realizzare il Ponte a una campata che con un altro governo non aveva già avuto il suo studio di fattibilità, ma addirittura il via libera del pre-Cipe alla sua realizzabilità. Sono pronti a farlo il Ponte sullo Stretto capitali privati internazionali che sono sicuri della redditività dell’opera, ma c’è il rischio che le stesse ragioni politiche facciano in modo che si creino problemi sulle tariffe. Che si torni a parlare di “gabelle e Medio Evo” ed è evidente che questo tema per qualunque governo può essere una cosa sconveniente. Una ragione ancora di più per prendere l’iniziativa a livello di Paese con lo spirito della Ricostruzione e dell’unità nazionale. Si va nella direzione del mercato e della convenienza oltre che di quelle civili e sociali. Si va nella direzione dello sviluppo e della crescita duratura, non dell’assistenza a chi ha meno.

Un soggetto privato come Italo aveva treni e bus sulle tratte Roma-Brescia e Roma-Verona che erano in perdita, ma appena ha aggiunto la partenza da Napoli i conti sono cambiati.

La stessa cosa si è vista in modo sostanzioso quando si è deciso di partire da Reggio Calabria per andare a Torino e a Milano perché l’offerta incontra la domanda della comunità più numerosa che parte dal Sud e per lavoro va al Nord, ma difficilmente prende l’aereo. Siamo ancora a quarant’anni fa, questa è la verità, e pagano più biglietti i cittadini del Sud rispetto a quelli del Nord. Sono i pendolari dei treni e dei bus privati che non hanno niente a che vedere con il turismo o il lavoro di élite che si sposta da Milano a Roma.

È il mercato che ti crea le condizioni quando c’è tanta gente che si deve spostare. È il mercato dei passeggeri e delle merci che rende a importi ora di fare il Ponte sullo Stretto. Non stiamo parlando di un colpo d’immagine o di un segnale al mondo dell’Italia che rinasce (anche, dopo), ma piuttosto di qualcosa che serve all’economia italiana. Tutta intera. Non si tratta di fare un piacere al Sud ma all’Italia. Non c’è neppure una lobby vera che rema seriamente contro, e se c’è per noi questa è la lobby degli scemi, perché contribuisce a fermare con la collaborazione decisiva delle ragioni neglette della politica demagogica ciò che rappresenta ricchezza vera per il territorio e per tutta l’Italia.

Si tratta di combattere e di vincere una battaglia decisiva. Che si scontra con interessi localistici miopi e un dibattito malato della pubblica opinione, ma che è prima ancora una battaglia culturale. Sono le stesse diffidenze e gli stessi interessi che si sono appalesati con il capitolo della rigenerazione urbana nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Per la prima volta si è tenuto conto dell’indice del disagio sociale, non della quota di accesso – spesa storica e dintorni che allarga i divari, non li restringe – e, come è giusto, i 3,4 miliardi sono andati quasi tutti ai Comuni del Sud. Ora ovviamente i Comuni del Nord strillano, tutti vanno dietro e si cerca un altro miliardo. Poi magari non lo si trova e scatta la caccia a quelli destinati al Sud che per colpe loro magari i Comuni del Sud fanno fatica a spendere.

Bisogna rendersi conto che l’Italia è una, ma si parte da situazioni differenti, e che l’interesse primario di chi è più avanti è di fare correre chi sta più indietro e che l’interesse generale del Paese è quello che si investa sul capitale umano nella scuola, nella amministrazione e nella impresa del Mezzogiorno perché bisogna sapere fare le cose e innovare tutti insieme. Perché questa è un’urgenza reale.

Questo giornale non si opporrà mai ai valichi del Nord e alle alte velocità ferroviarie del Nord che hanno opere in itinere, perché l’Italia è una, ma è noto a tutti che se non ci fosse stata l’impuntatura del ministro dell’economia, Daniele Franco, non ci sarebbero stati gli altri 9,5 miliardi di extra fondo complementare per fare in modo che l’alta velocità ferroviaria arrivasse in Calabria almeno fino a Tarsia e che si deve fare ancora di più con soldi certi e modalità certe. È sempre meglio dire le cose come stanno e onorare gli impegni quando si può, come abbiamo chiesto e denunciato più volte, cercando pragmaticamente tutte le soluzioni possibili. Proprio come si è fatto per la scuola, gli asili nido, le mense scolastiche, il trasporto locale sempre all’interno del Pnrr con un’azione felice congiunta di vari ministri e di vari ministeri.

Stendiamo dunque un velo pietoso sui fraintendimenti della relazione del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili al Parlamento che sembrava escludere dagli interventi territorializzabili l’alta velocità ferroviaria del Mezzogiorno, ma rendiamoci piuttosto conto che almeno sul Ponte sullo Stretto non è più consentito a nessuno di prendere tempo. La stagione dalla nuova Ricostruzione se vuole preparare davvero il secondo grande miracolo economico italiano ha bisogno di questa opera perché tutti gli interventi collegati, ferroviari e stradali, abbiano fondamento e garantiscano il moltiplicatore del Sud e del Mediterraneo all’economia italiana.

Viviamo i giorni terribili del dominio mediatico dei no vax e di un governo che riapre le scuole con un’economia che perde un po’ ma cammina più delle altre. La politica è tutta presa dalle manovre quirinalizie e potrebbe perdere ancora di più i contatti con la realtà. Attenzione, però, ricordiamoci del Ponte e di mettere a terra gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza partendo dal Mezzogiorno. Non bastano le figurine e le relazioni. Servono cantieri aperti e stati di avanzamento dei lavori riscontrabili.


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