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NON BASTANO le strutture, manca il personale. Soprattutto nelle regioni del  Mezzogiorno, dove tra i professionisti della sanità – medici e infermieri, ma anche tutte le altre figure coinvolte  nella filiera dell’assistenza sanitaria – si registrano organici allo stremo, retribuzioni più basse e una conseguente diseguaglianza nell’accesso  ai servizi  sanitari e socio-sanitari da parte dei cittadini.

A fare il punto, Salutequità, l’Organizzazione per la valutazione della qualità delle politiche per la salute, ma anche il Sindacato Medici Italiani, secondo il quale le esigenze di cure mediche insoddisfatte dichiarate dai pazienti risultano essere tre volte maggiori al Sud e nelle isole rispetto al Nord-est del Paese. L’allarme per il nostro Paese arriva anche dall’Europa: “Se gli attuali criteri di accesso alla formazione specialistica dovessero rimanere invariati – scrive  la Commissione Ue nel suo ultimo Report sulla situazione italiana – con l’aumentare dell’età media dei medici italiani negli anni a venire, si prevede una carenza significativa di personale, soprattutto in alcune discipline di specializzazione e in medicina generale. L’Italia impiega meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e il loro numero (6,2 per 1 000 abitanti) è inferiore del 25 % alla media UE. Vista la diminuzione del numero di infermieri laureati dal 2014, le carenze di personale in questo settore sono destinate ad aggravarsi in futuro”.

ORGANICI E PIANI DI RIENTRO

Secondo i sindacati dei medici, nel giro di pochi anni, mancheranno all’appello circa 25mila camici bianchi, in particolare specialisti e medici di medicina generale,  che diminuiscono al ritmo di oltre 6mila l’anno a causa di un ricambio del tutto insufficiente. Con una penalizzazione ancora una volta maggiore per il Sud, dove il turn over è bloccato dall’assenza di programmazione e contratti soprattutto nelle regioni in piano di rientro  – Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia, con l’aggiunta del commissariamento per Calabria e Molise – per le quali l’assenza di standard rende impossibile la quantificazione degli organici necessari.

L’inadeguatezza del personale riguarda anche gli infermieri, per i quali se le stime della Federazione degli Ordini parlano di carenze pari a 63mila unità, i calcoli dell’Università Bocconi superano le 101mila e quelli di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, indica il deficit  in non meno di 80mila professionisti. E questo soprattutto sul territorio, dove il fabbisogno dei soli infermieri di famiglia e comunità, necessari non solo per Covid, ma anche per l’assistenza non Covid, è stato quantificato per rispondere alle esigenze del PNRR in almeno 20-30mila unità, mentre da decreto Rilancio del maggio 2020 che ne ha previsti e finanziati per legge 9.600, se ne sono trovati finora non più di 3mila.

Allarme desertificazione anche per gli organici dell’emergenza, pronto soccorso e 118, che registrano una carenza di 4.000 medici e 10.000 infermieri  con concorsi andati deserti in tutte le regioni e soglie di criticità massima al Sud. “Tutto questo ha e continuerà ad avere un peso anche sul blocco delle cure programmabili che stiamo vivendo in queste settimane e che ciclicamente ormai da due anni purtroppo si ripresenta, ostacolando il diritto all’accesso al SSN da parte dei pazienti non Covid, a partire da quelli con malattie croniche e rare”, afferma Tonino Aceti, presidente di Salutequità.  

CONDIZIONI DI LAVORO E RETRIBUZIONI

Le medie nazionali mettono in luce parecchie difficoltà, ma finiscono per denunciare ancora una volta che è il Meridione il malato più grave. Se infatti tra gli operatori sanitari dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, il mancato rinnovo dei contratti durato dieci anni ha portato nelle buste paga aumenti che vanno dai 4.291 netti annui  per i medici ai 1.690 netti annui per gli infermieri, analizzando la retribuzione media mensile a livello regionale, troviamo i 2.294 euro della Provincia autonoma di Bolzano contro i 1.561 della Basilicata. Tenendo presente, oltretutto, che sulla cifra incide moltissimo proprio la carenza di personale, che  lascia spazio a sua volta agli straordinari.

Un esempio per tutti:  in Campania – la regione con la quota più alta di straordinari, ma anche tra quelle con le maggiori carenze di professionisti – si raggiunge quota 1.760 euro mensili. Problemi noti da anni, aggravati dall’emergenza Covid, ma anche dalle politiche di tagli portate avanti fino a poco tempo fa.

“Non possiamo che essere d’accordo –  hanno dichiarato Cristina Patrizi e Liliana Lora della Direzione nazionale del Sindacato Medici Italiani, dopo l’incontro dei giorni scorsi con il Ministero della Salute – con quanto previsto dal Programma nazionale equità nella salute, che dovrà ricevere un finanziamento di  625 milioni di euro, di cui 250 a carico del FESR e 375 del  FSE, da destinare alla realizzazione di progetti in tema di salute, finalizzati alla promozione dell’equità nell’accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari, nei territori delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il problema vero è legato alla mancanza dei medici”.

Una  mancanza che riguarda i medici di medicina generale, gli specialisti ed i medici del sistema di emergenza in modo più grave proprio per le regioni  del  Sud, per i piccoli paesi e per  le aree disagiate, anche se inizia ad essere presente in modo strutturale anche nella città.


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