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POTENZA – Abuso di sanzioni disciplinari da parte della direzione, protocolli ignorati e falsi nei registri di sala operatoria del primario. Lo stesso che qualcuno tramava per far fuori. Più ricatti e denunce conservate nei cassetti.
E’ uno squarcio impietoso quello aperto dalla Commissione regionale ispettiva sul caso della donna morta a maggio del 2013 nel reparto di Cardiochirurgia del San Carlo e le registrazioni diffuse online in cui un medico accusava il primario di averla «ammazzata».
La relazione è datata 17 ottobre, 3 giorni prima delle dimissioni del direttore generale Giampiero Maruggi, e descrive uno scenario in cui non sembra salvarsi nessuno dei protagonisti della vicenda.
Fermo restando che «con le dovute cautele, la commissione ritiene di poter rilevare dalla sequenza cronologia degli atti chirurgici posti in essere sulla paziente che non vi siano elementi che inducano a pensare se siano concretizzati atti di negligenza e imperizia».
Insomma l’esito delle indagini della magistratura potrà anche essere diverso, ma per i dirigenti del dipartimento Sanità della Regione incaricati dell’ispezione colpa medica non c’è stata.
Giuseppe Montagano, Rocchina Giacoia e Maria Luisa Zullo hanno raccolto documenti e cartelle cliniche, e sentito tutti gli operatori coinvolti: medici e infermieri.
Ma in primis hanno esaminato gli elementi alla base della sospensione di Fausto Saponara, il medico “accusato” di aver registrato e divulgato gli audio shock in cui un collega di lungo corso, Michele Cavone, se la prende col primario Nicola Marraudino incolpandolo per la morte della 71enne Elisa Presta durante un trapianto di valvole cardiache.
I commissari salvano la contestazione per la parte riguardante il «non aver prontamente proceduto per quanto edotto della presunta gravità dei fatti alle debite segnalazioni alle autorità competenti e alla direzione aziendale» , che appare degna di essere approfondita in sede di contraddittorio. Mentre cassano senza appello la parte riguardante l’addebito «circa la registrazione e la relativa diffusione della stessa ai mezzi d’informazione e stampa» per mancanza «del requisito di autosufficienza». Mere «deduzioni», che la direzione aziendale non è stata in grado di sostanziare.
Saponara si è difeso sostenendo di aver informato per tempo dell’accaduto i vertici del San Carlo, e a questo è dedicato un altro capitolo della relazione in cui la Commissione insinua dubbi pesanti sull’operato dell’ormai ex management.
Il collegio presieduto da Montagano evidenzia la «sottovalutazione degli accadimenti con conseguente inadeguata prospettiva delle possibili evoluzioni degli stessi e difficoltà ad arginarne portata ed effetti, ferme restando le responsabilità dei singoli».
I primi atti con cui Saponara ha fatto riferimento all’accaduto non potrebbero intendersi come formali denunce «sebbene a una più attenta lettura da parte dell’azienda (…) avrebbe potuto indurre a una diversa valutazione dell’accaduto».
Come pure in seguito quando Saponara avrebbe esternato la questione al direttore amministrativo e a quello sanitario dell’azienda: Antonio Pedota e Bruno Mandarino.
«Avendo comunque il direttore sanitario e il direttore amministrativo funzioni di pubblico ufficiale e venendo a conoscenza di un aspetto che avrebbe potuto configurare gli estremi di un atto perseguibile come potevano esimersi dal richiedere ad horas la sottoscrizione di una formale segnalazione per la valutazione degli atti a seguire?». Si domandano i commissari.
E ancora: «Si può davvero affermare che l’Azienda ospedaliera regionale abbia agito nel rispetto di buona amministrazione e non abbia, invece, avuto una condotta superficiale, sottovalutando la portata degli effetti delle informazioni già in suo possesso, seppur ancora non dettagliate, riguardante un settore le cui problematiche erano note?»
La «portata» di quanto accaduto sarebbe stata nota all’Azienda «almeno» da febbraio: «tuttavia non viene posta in essere nessuna attività volta attraverso un’indagine interna, a dirimere dubbi sul corretto comportamento professionale e non, per il fatto specifico, ai fini di tutelare l’immagine dell’azienda».
Quanto al primario del reparto, Nicola Marraudino, i commissari sottolineano che il registro operatorio di sua competenza: «non è compilato in maniera esaustiva e corretta, rilevandosi talune circostanze con la cartella clinica, soprattutto in riferimento alla obbligatoria dichiarazione di presenza di tutti gli operatori che a vario titolo sono presenti in sala operatoria, riducendo quindi tutte le eventuali possibilità di ricostruzione dei profili di responsabilità dei singoli professionisti».
Ma non va meglio al suo grande accusatore, anzi. «Le modalità con cui il dottor Michele Cavone riferisce dell’evento – è scritto nella relazione – denotano una certa approssimazione e fondamentalmente animosità e collera, che non sembrano del tutto riconducibili al modus operandi in sala operatoria ma a preventive intenzioni negative rispetto al professor Marraudino, così come ebbe ad esprimerle in tempi antecedenti l’intervento a un collega e da questi confermato, in sede di audizione, al quale aveva confidato la necessità di mandare via il professor Marraudino dall’Unità operativa di cardiochirurgia, e che quindi era necessario trovare il modo».
«Il senso di frustrazione sembra sproporzionato – insistono i commissari – considerato il ruolo che il dottor Cavone aveva avuto e continuava ad avere nel reparto di Cardiochirurgia».
Senza tenere conto «che la conoscenza di un evento ritenuto potenzialmente criminoso debba costituire oggetto di apposita denuncia nelle sedi istituzionali come imposto a un pubblico dipendente dalla normativa vigente e non già pretesto di pettegolezzo e di potenziale comportamento ricattatorio».
Un’ultima considerazione è riservata ancora a Saponara, che di sicuro il 19 agosto ha chiesto di riaprire l’audit dei consulenti incaricati dall’azienda di analizzare le criticità nel reparto, e ha denunciato, questa volta in maniera esplicita, i dubbi sulla morte della paziente al centro del caso. Appena qualche giorno prima della diffusione degli audio shock con le accuse di Cavone.
«Non si comprende né il motivo per cui tale informazione non è stata resa direttamente dal dottor Saponara in sua presenza nell’audizione del giorno 29 maggio né il motivo della sua successiva e tardiva elevazione a circostanza rilevante per l’audit, per la quale viene mandata sì l’informativa al Collegio, ma ad audit già concluso, dopo due mesi e mezzo dall’audizione».
Si domandano i commissari.
«Non si riesce a comprendere se la sequenza degli atti, di per sé contraddittoria, sia non voluta/casuale ovvero rispondente a un disegno predeterminato».

l.amato@luedi.it

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