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La conduttura del gas North Stream 2

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Non ci si può credere, una crisi gas causata da una possibile guerra fra Russia e Ucraina, dove, da mezzo secolo, passa la gran parte del gas che consumiamo in Europa. E’ da quando si sono guastati i rapporti fra i due principali paesi dell’Unione Sovietica, intorno al 2006, che litigano sul gas e la responsabilità è anche nostra. Si, perché chi dà molto valore a quel gas, pagando prezzi salatissimi, siamo noi europei, al primo posto la Germania, che importa circa 60 miliardi di metri cubi all’anno, e poi noi italiani che ne abbiamo importati l’anno scorso 29 miliardi.

Le esportazioni russe, con i prezzi del 2021, valgono qualcosa come 100 miliardi di dollari. Dall’Ucraina ne passavano tradizionalmente circa 100 miliardi di metri cubi all’anno, che poi venivano mandati in tutti i paesi dell’Europa, ma, da quando è partito il North Stream 2, le quantità sono crollate a circa 40 miliardi di metri cubi. Prima di tutto va sottolineato che il nostro principale fornitore di gas ha cercato di rendere le forniture più sicure, a suo e a nostro beneficio, aggirando il ricatto dell’Ucraina. Che adesso noi stiamo a fare contestazione sull’apertura anche della seconda linea del North Stream 2 è paradossale.

Perché non l’abbiamo fatto anche prima e perché non lo facciamo anche sulle vecchie linee? Peraltro, son tubi fatti dai comunisti, in piena guerra fredda prima della caduta del muro di Berlino e tanto volute anche dai paesi dell’Europa occidentale proprio per fare una rete su cui costruire relazioni commerciali e consolidare la pace. Per anni l’Ucraina ha sottratto gas nel transito alla Russia e ha chiesto tariffe di trasporto per il transito tipiche di paesi occidentali, quando le strutture sono state fatte in ben altre condizioni.

La crisi la stiamo pagando sulle nostre bollette, quelle di tutta Europa, ma con quelle italiane che, come al solito, sono le più alte, nonostante gli sforzi del governo che possono oggettivamente fare poco.

Del ricatto ucraino se ne deve rendere conto tutta Europa, a cominciare dai nostri politici, dal nostro governo, perché tutte le misure messe in campo potranno fare ben poco per alleviare le tensioni sui prezzi del gas. La produzione domestica, in Italia o in UK o in Olanda, necessita di anni per essere riavviata. Il tentativo italiano è meritevole, ma il Piano diffuso venerdì scorso, il Pitesai, circa le aree idonee a produrre, è un aggroviglio di norme incomprensibili, un vero ostacolo alla produzione e agli investimenti, una drammatica contraddizione per una Repubblica fondata sul lavoro, una sconfitta per la nostra democrazia.

Se non parte il North Stream 2 nelle prossime settimane i prezzi rimarranno alti, se poi dovesse scoppiare una guerra, e i flussi dovessero interrompersi, allora sarebbe un disastro. La mancanza di produzione nazionale diventerà ancora più amara, ma sarà troppo tardi.


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