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Se vuole contare e salvare la grande manifattura tedesca e le eccellenze italiane, l’Europa deve tornare a essere un mercato unico. Deve avere e attuare velocemente un progetto politico. Ricostruire un grande mercato interno dove le attività finanziarie e le attività reali stanno insieme. Camminano insieme, corrono insieme, si misurano con il mondo insieme. Si sentano mercato unico. Perché si realizzi con la velocità di cui c’è bisogno, ci vuole una guida politica all’altezza. Perché senza un mercato interno così importante che consenta alle imprese di approvvigionarsi, produrre, vendere e alle famiglie di spendere, tutte le economie nazionali europee soffriranno. Non è possibile vivere con un tasso costante di incertezza che abbassa le aspettative, blocca gli investimenti, fa crescere i risparmi personali e li sottrae ai consumi

Si può discutere se sia stato o meno di cattivo gusto confermare il Castello di Versailles come sede per il Consiglio europeo di Capi di Stato e di governo con una guerra in pieno svolgimento nel cuore dell’Europa. Non una piccola guerra, ma la grande guerra dello zar Putin che uccide donne e bambini per annettersi uno stato sovrano libero delle dimensioni dell’Ucraina. Non sappiamo se questa scelta evocativa di storia e di ricchezza esprimesse il contesto giusto per aumentare l’empatia dei popoli nei confronti della nuova Europa della coesione sociale. Che è in via di costruzione dentro un mondo che si prepara ad avere un ordine nuovo dove le distanze tra autocrazie e democrazie appaiono destinate ad allargarsi. 

Quello che possiamo dire è che i tempi dell’Europa non sono sufficientemente veloci e che in questa guerra militare-finanziaria tra Occidente e Russia con effetti collaterali pesantissimi sulla nostra economia,   la velocità è (quasi) tutto.  Si cammina nella direzione giusta, ma non si fa un salto. Non si comincia a correre e non lo si fa perché gli egoismi nazionali persistono.   Rallentano lo slancio. Si resta in bilico tra il grande lavoro diplomatico nella ricerca sempre più complicata di una soluzione di tregua e l’ambizione di cominciare ad attuare ciò che si dichiara di volere. Che è un’Europa finalmente unita nella sicurezza come nella politica estera e nella politica di bilancio. 

Persiste, purtroppo, un tasso di ambiguità su dove, come, con chi e quanto spingere perché l’Europa faccia ordinariamente debito comune di scopo, dalla pandemia alla guerra di Putin in Ucraina, per preservare la sua forza produttiva e la sua occupazione, accrescere il peso nei business del futuro, e esercitare un ruolo di leadership reale nella geopolitica mondiale. 

C’è qualcosa, però, di più profondo che ancora manca. È la presa di coscienza che tra una globalizzazione ingenua e un sovranismo cieco che segnano i nostri tempi martoriati, la nuova terza via dell’Europa è quella di essere in grado di ricostruire un grande mercato interno dove le attività finanziare e le attività reali stanno insieme. Camminano insieme,   corrono insieme, si misurano con il mondo insieme. Si sentano mercato unico. Perché si realizzi con la velocità di cui c’è bisogno,  ci vuole una guida politica all’altezza, riconosciuta come tale in Europa e fuori. Finanza, economia reale e guida politica devono marciare nella stessa direzione. Perché senza un mercato interno così importante che consenta alle imprese di approvvigionarsi, produrre, vendere  e alle famiglie di spendere, tutte le economie nazionali europee soffriranno. Chi prima, chi dopo, ma tutte.

La pandemia globale e il nuovo ’29 mondiale e, ancora di più, la guerra di Putin in Ucraina che segna l’inizio di una storia nuova tra mondo occidentale e mondo autarchico, impongono questa scelta. Se vuole tornare a contare e salvare la grande manifattura tedesca e le eccellenze italiane, l’Europa deve tornare a essere un mercato unico. Deve avere e attuare velocemente un progetto politico. Che parte dall’economia reale e usa la finanza, ma che lo fa tenendo tutto insieme.

Siamo in una situazione oggettivamente complicata. Bisogna trovare una via di uscita che eviti il genocidio di un popolo e sblocchi una situazione geopolitica insostenibile per la Russia e per gli altri. Putin sa che la sua economia è stata rasa al suolo dai bombardamenti a getto continuo della guerra finanziaria che Stati Uniti e Europa stanno conducendo contro di lui. Il rublo non vale più niente, il default sovrano è una realtà sotto gli occhi di tutti, la corsa dei russi a prelevare i loro risparmi dalle banche russe è inarrestabile, l’isolamento finanziario e produttivo a livello mondiale è un dato di fatto. 

Quanto inciderà l’offensiva occidentale contro i patrimoni degli oligarchi e qual è il tasso di autonomia della tecnocrazia in uno stato di polizia come quello russo? Vincerà il tasso di sopravvivenza alla nuova povertà o il tasso di partecipazione al disegno militare di espansionismo della Russia che vuole ricostruire nel cuore dell’Europa l’impero sovietico? Quello che molti sottolineano è che in Russia c’è un livello di diseguaglianze sociali che non c’è nemmeno in Sud America e questo può consentire a Putin di andare avanti, noi ne dubitiamo, ma anche se mettesse a segno l’impossibile vittoria con tutto il mondo contro la situazione dell’Ucraina non terrebbe perché non puoi sottomettere 40 milioni di persone che non vogliono stare con te. Lo scenario della guerra si presenta insomma non breve e gli esiti si delineano comunque complicati.

L’unica cosa sicura è  che è interesse degli europei tutti che l’Europa torni a essere un mercato comune dove si rimettono insieme gli scambi commerciali e che rappresenti l’80% dei nostri consumi. Non è possibile vivere con un tasso costante di incertezza che abbassa le aspettative, blocca gli investimenti,  fa crescere i risparmi personali e li sottrae ai consumi. Il miracolo economico italiano del 2021 è frutto di questa fiducia ritrovata e di un’economia riaperta in sicurezza. In un mondo dove le pandemie producono effetti da guerra in economia e dove la pace perpetua non è più una certezza, non può più accadere – solo per fare un esempio – che il distretto delle ceramiche di Sassuolo si deve fermare perché non ha più l’argilla per fare le ceramiche e paga la dipendenza energetica del Paese con una bolletta elettrica che fa paura. Anche perché le “Sassuolo” italiane, a Nord e a Sud, sono davvero tante.


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