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Il ministro per le Politiche agricole Stefano Patuanelli

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È STATO finalmente sbloccato ieri il bando sui contratti di filiera. Ma il ritardo comunque c’è. Nonostante la necessità di  sostenere le filiere agroalimentari pesantemente colpite dagli effetti economici della pandemia e ora piegate dal caro bollette, dall’impennata dei costi e dalla speculazione innescata dalla guerra in Ucraina,  i soldi  del Pnrr (circa 1,2 miliardi) stanziati per le filiere arrivano al rallentatore.

LENTEZZE INACCETTABILI

Il Movimento Cinque Stelle,  a cui  aderisce il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, il 21 aprile scorso  aveva  chiesto lo sblocco delle iniziative. «Abbiamo sollecitato il ministero delle Politiche agricole – ha detto Chiara Gagnarli, capogruppo M5S in commissione Agricoltura in occasione di un question time alla Camera – ad accelerare le procedure per assegnare i 350 milioni di euro previsti per lo scorrimento della graduatoria dei progetti ammessi nell’ambito del IV bando dei contratti di filiera e di distretto per i settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo.

Per i restanti 690 milioni di euro, che abbiamo stanziato con il fondo correlato al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), il Mipaaf ci ha rassicurato che provvederà in tempi brevi alla pubblicazione dell’avviso relativo al nuovo bando». E  infatti, a stretto giro,  il ministero ha provveduto. Ma in ogni caso  si doveva correre. Anche prima che la guerra  sparigliasse tutte le carte era chiaro che si dovesse accelerare sull’agroalimentare. Nel periodo del lockdown, infatti,  con le difficoltà dei trasporti era  apparsa con chiarezza l’importanza di poter garantire ai cittadini cibo in quantità sufficiente e di qualità. E in effetti il Pnrr  ha riservato un’attenzione particolare all’agroalimentare, così come alle agroenergie. Ma i tempi  di attuazione restano quelli ministeriali.  Nessuno tra gli addetti ai lavori se la sente di sparare su Patuanelli, che in realtà ha impiegato un po’ di tempo ad accettare il cambio di casacca, dal ministero dello Sviluppo economico all’Agricoltura. 

Ma ora sembra essersi appassionato al settore. La stessa cosa non sembra valere per la sua struttura. Le lentezze, in questo momento in cui l’agricoltura dovrebbe essere una priorità, non sono accettabili. Il cibo, infatti, è balzato ai primi posti nell’interesse dei cittadini e anche della politica, almeno a parole. I provvedimenti, però, continuano a seguire i tempi (a passo di lumaca) della burocrazia e non quelli delle necessità del Paese reale. Il decreto sui contratti di filiera con 350 milioni per lo scorrimento delle graduatorie del IV bando e 850 per il V bando  è stato firmato dal ministro a fine dicembre, ma in Gazzetta ufficiale è sbarcato il 15 marzo. E ieri, dopo un mese, il bando. Dopo il decreto,  che rappresenta la base per l’emanazione dei provvedimenti attuativi dei contratti di filiera, indicando le relative modalità di finanziamento, l’iter istruttorio e la procedura di valutazione per la selezione dei progetti, il Mipaaf ha avuto bisogno di oltre 30 giorni per procedere all’attivazione. Lo strumento è importante, ma non è  nuovo, sono state riviste le fonti di finanziamento.

I SOSTEGNI PREVISTI  

Il sostegno  è ben congegnato,  con un contributo in conto capitale e un  finanziamento agevolato.  Il primo è a valere sul fondo complementare al Pnrr, il finanziamento  agevolato, invece, sul Fondo rotativo per le imprese (Fri) gestito da Cassa depositi e prestiti. È  previsto un aiuto pubblico fino al 50% per le spese sostenute nelle regioni del Sud e del 40% nel Centro Nord. Un intervento che, grazie all’effetto leva,  può attivare 3 miliardi di investimenti.  

E quanto sia importante la formula lo spiega con dovizia di particolari lo stesso Mipaaf, che parla di  misure che consentono «di agevolare le filiere produttive grazie ai contributi in conto capitale e ai finanziamenti agevolati destinati a investire in processi di riorganizzazione dei rapporti tra i differenti soggetti della filiera, anche alla luce della riconversione tecnologica, digitale e ambientale in atto nei diversi comparti, puntando a una maggiore integrazione, alla creazione di migliori relazioni di mercato e a ricadute positive sulla produzione agricola. Questo provvedimento permetterà di implementare concretamente i Contratti di filiera, definendo nel dettaglio l’iter istruttorio, la procedura di valutazione per la selezione dei progetti e le modalità di finanziamento».  

Insomma,  una misura che potrebbe aiutare molto il settore ora che anche da Bruxelles è arrivato il via libera a produrre di più. Ma per spingere le imprese ad aumentare le attività bisogna dare loro certezze e cioè che i prodotti siano venduti e a prezzi remunerativi. In una parola: programmazione. Ed è quello a cui puntano i contratti di filiera con  uno stanziamento robusto.

E allora perché tutto è rimasto così a lungo nel limbo? Si può obiettare che si tratta di procedure complesse, di trattative con le Regioni. Il punto, però, è che la situazione è al limite. Molte aziende, pressate da costi insostenibili,  hanno  rallentato la produzione e l’11%, secondo uno studio del Crea, l’istituto che  peraltro fa capo allo stesso ministero agricolo,  rischia il default.

Dopo due anni di pandemia e  due mesi di guerra devastante, la scelta obbligata era “fare presto”, se veramente si vuole perseguire quell’autosufficienza alimentare che lo stesso ministro Patuanelli ritiene un obiettivo strategico a livello europeo.  

L’URGENZA DELLE STRUTTURE IDRICHE

Ma l’imperativo categorico è anche garantire redditi agli agricoltori. E l’unica formula virtuosa, come ha ribadito da anni la Coldiretti, che ha fatto di questo strumento una delle sue principali battaglie, è quella dei contratti di filiera, il solo strumento  che può  saldare in un’azione comune tutti gli anelli della filiera agroalimentare, dal campo allo scaffale, assicurando così l’equa distribuzione  del valore aggiunto lungo la filiera.

«L’Italia  – ha detto il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – è costretta a importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati».  

Il risultato è che in 25 anni l’Italia  ha “bruciato”” il 28% delle campagne (anche per effetto di un consumo dissennato del suolo, e pure in questo caso la legge di contrasto giace in Parlamento dal 2012) che garantiscono sicurezza alimentare e ambientale.  Con i contratti di filiera si può mettere in atto anche una vera azione di contrasto alle pratiche sleali, come prevede la nuova legge, anche questa attuata in Italia con molto ritardo rispetto alla direttiva varata dalla Ue. Investire sui contratti di filiera  non  aiuta solo gli agricoltori, ma anche i consumatori che, in una situazione di inflazione crescente, devono fare i conti con una spesa alimentare sempre più cara, come ha certificato l’Istat.

Ora, però, bisogna accelerare anche su un altro fronte caldo: quello delle strutture idriche. Qui la guerra non c’entra, ma il problema sono i cambiamenti climatici. Il 2022 è tra gli anni più caldi, con la temperatura che in Italia è più elevata di 0,07 gradi. La tendenza alla tropicalizzazione, che si manifesta con eventi estremi, dalle precipitazioni violente alla  mancanza d’acqua, è costata all’agricoltura 14 miliardi negli ultimi dieci anni, come sottolinea Coldiretti, tra perdite ai raccolti e infrastrutture distrutte.

Ma è la siccità che allarma. Qualche pioggia non risolve il problema, soprattutto in un Paese come il nostro che si permette il lusso di disperdere quasi il 90% dell’acqua piovana.  Anche in questo caso si può intervenire impiegando gli stanziamenti del Pnrr. I progetti ci sono, in particolare quelli per la realizzazione di bacini di accumulo messi a punto da Coldiretti, Anbi e altri partner. Ma i ministeri si devono muovere.


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