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I danni della guerra in Ucraina

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Mi ha particolarmente colpito una frase ascoltata ultimamente in un convegno: “Quando la legge della forza vince sulla forza della legge entrano in crisi tutte le categorie che caratterizzano ciò che definiamo civiltà di un popolo”; questa frase penso rappresenti un riferimento di base con cui affrontare ciò che stiamo vivendo da oltre due mesi in Ucraina. La Russia ha praticamente fatto ricorso alla legge della forza ed ha distrutto automaticamente un codice comportamentale che, almeno nell’area europea occidentale, vigeva da ormai settanta anni, cioè dalla fine della seconda guerra mondiale e aveva annoverato solo una serie di casi anomali come gli eventi nei Balcani, in Cecenia, in Georgia; casi tutti puntuali e su cui direttamente o indirettamente la Russia ha svolto sempre un ruolo chiave.

Ma questo codice comportamentale non rispettato non causa la denuncia ormai scontata da parte dei media e cioè “nulla sarà come prima dopo la guerra in Ucraina” ma genera una chiara e motivata preoccupazione: “se nulla sarà più come prima, se non si dovesse tornare alla normalità vissuta per settanta anni allora quale sarà lo scenario o gli scenari che caratterizzeranno il nostro futuro?”. Solo per un problema di avanzata anzianità e quindi di consolidata esperienza mi limiterò ad elencare quelle componenti del futuro legate essenzialmente a due ambiti particolari del nostro sistema economico: quello dell’assetto infrastrutturale e quello del Mezzogiorno.

In merito all’assetto infrastrutturale non possiamo dimenticare che proprio in questi prossimi mesi, in questi prossimi anni rimpiangeremo e misureremo i danni prodotti dalla mancata infrastrutturazione del Paese negli anni 2015, 2016, 2017, 2018, 2019, 2020, 2021, cioè capiremo quanto sia stato miope ed irresponsabile non dare corso ad investimenti già definiti, in alcuni casi già cantierati invocando l’assurdo ed immotivato strumento del “project review” e lo capiremo anche perché ci accorgeremo di due pesanti negatività:

• Un aumento inimmaginabile dei costi
• La impossibilità di realizzarne addirittura oltre il 50% di opere programmate.

E, purtroppo, siamo in grado anche di misurare per alcune opere l’aumento sostanziale dei costi, mi riferisco in particolare alle seguenti opere:
• L’asse ferroviario ad alta velocità Genova – Milano (Terzo Valico dei Giovi) a valle del blocco di oltre un anno imposto dallo strumento del “project review” ha già accumulato un danno legato alla esplosione dei prezzi di oltre 740 milioni di euro
• L’asse ferroviario ad alta velocità Verona – Vicenza – Padova a valle del blocco di oltre tre anni (sempre causato dal project review) ha accumulato un danno misurabile oggi con la esplosione dei prezzi di oltre 560 milioni di euro
• Il nodo ferroviario ad alta velocità di Firenze bloccato per oltre sei anni ha prodotto un danno, legato sempre all’aumento dei costi, stimato superiore a 620 milioni di euro
• Il nodo ferroviario di Bari non cantierato per oltre sette anni ha accumulato un danno superiore a 230 milioni di euro
• L’asse stradale Maglie – Santa Maria di Leuca bloccato da tante vicissitudini giuridico amministrative ha accumulato un danno di oltre 130 milioni di euro
• L’asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria ancora nella fase di progetto preliminare ha raggiunto un costo dopo anni di blocco di oltre 32 miliardi di euro, un costo che senza la realizzazione del ponte e quindi con una domanda di trasporto limitata alla utenza calabrese non lo rende più difendibile
• Il ponte sullo Stretto di Messina non cantierato solo per motivi di schieramento politico ha prodotto già oggi un danno superiore a 1,2 miliardi di euro
• Il sistema ferroviario ad alta velocità Palermo – Messina – Catania già supportato finanziariamente sin dal 2013 e mai avviato concretamente a realizzazione ha già accumulato un danno, legato all’aumento dei costi, di oltre 1,4 miliardi di euro
• L’asse autostradale 106 Jonica, approvato sin dal 2014 ed un primo lotto cantierato solo un anno fa, ha accumulato un danno di circa 430 milioni per l’aumento dei prezzi del lotto cantierato ed un danno di oltre 1,45 miliardi di euro per il completamento dell’intero asse
• La Linea C della Metropolitana di Roma, Tratto San Giovanni – Colosseo – Lepanto bloccata praticamente da sei anni ha oggi un costo aggiuntivo di oltre 660 milioni di euro
• L’asse autostradale Orte – Mestre, approvato dal CIPE nel 2014 e mai avviato a realizzazione ha già accumulato un danno di oltre 800 milioni legato all’aumento dei costi e, trattandosi di un project financing, rischia di perdere la convenienza tecnico – economica

Ma la cosa ancor più grave è che, alla luce di queste esplosioni dei costi, molti di questi interventi diventano forse non più convenienti o coerenti ad un quadro annuale di disponibilità finanziarie; spesso infatti faremmo bene ricordare che degli oltre 338 miliardi di euro assegnati dalla Unione Europea (vedi Tabella 1) solo 126 miliardi sono a fondo perduto il resto comporta impegni a carico del bilancio dello Stato; cioè annualmente, nei prossimi quattro – cinque anni (prima delle scadenze imposte dalla Unione Europea 2026 e 2027) dovremmo assicurare una copertura nelle nostre Leggi di Stabilità di circa 40 miliardi di euro all’anno; una cifra enorme se comparata con quella finora garantita negli anni passati pari a 5 – 7 miliardi di euro all’anno

E, come anticipato precedentemente appare evidente che si rischia di perdere per sempre interventi come l’autostrada Orte – Mestre, l’asse ferroviario AV Salerno – Reggio Calabria, il ponte sullo Stretto, il sistema AV Palermo – Messina – Catania, l’asse viario 106 Jonica; cioè verrebbero meno, perché difficilmente difendibile in termini di disponibilità di “cassa”, interventi pero oltre 55 miliardi di euro. Abbiamo, quindi, nell’immediato futuro una esigenza aggiuntiva, almeno per queste prime opere strategiche, pari a 7.560 milioni di euro e al tempo stesso saremo costretti a riconsiderare interventi diventati costosissimi per un importo pari a 55 miliardi di euro. Questi dati produrranno automaticamente un rilevante danno nel comparto delle costruzioni, un rilevante danno nei livelli occupazionali, un rilevante danno nell’offerta infrastrutturale dell’intero sistema Paese.

Questa analisi riguarda l’intero Paese e se effettuiamo un ulteriore approfondimento scopriamo ancora una volta che il danno massimo lo subisce essenzialmente il Mezzogiorno. Questa volta non preoccupano solo gli aumenti dei costi di alcune opere ma quello che fa più paura è la difficoltà a garantire davvero le risorse e quindi il rischio di perdere per sempre opere come:
• L’asse ferroviario ad alta velocità Salerno Reggio Calabria
• Il ponte sullo Stretto di Messina
• Il sistema ferroviario ad alta velocità Palermo – Messina – Catania
• L’asse viario 106 Jonica
Interventi che globalmente superano un importo di 60 miliardi di euro e che ridimensionano ulteriormente la possibile crescita del PIL del Mezzogiorno.

Questa crisi della offerta infrastrutturale nel Mezzogiorno amplifica ulteriormente i costi che la gente del Mezzogiorno dovrà sostenere per la esplosione dei costi energetici. In tal modo quel PIL pro capite scandaloso del Sud rimarrà inalterato se non addirittura più basso degli attuali 17.000 euro. Cioè il Sud continuerà a seguire una rischiosa decrescita irreversibile.

Ma questa ormai impossibile possibilità di recuperare il tempo perduto, questa quasi certezza sul rischio che molte opere programmate da anni e condivise dallo stesso PNRR non partano più, oltre a produrre un rilevante danno genererà una crisi elevata nel comparto del trasporto delle merci; infatti un dato confermato da più fonti denuncia da anni che la incidenza sul costo del trasporto prodotta dall’assenza di una adeguata offerta infrastrutturale è pari ad oltre 60 miliardi di euro all’anno (fonti Confetra, Confcommercio, ecc,); la ulteriore mancata infrastrutturazione farà quindi aumentare tale incidenza e porrà seri problemi, per un Paese manifatturiero come il nostro, addirittura per un Paese secondo in Unione Europea proprio nel comparto manifatturiero; tutto questo produrrà ulteriori misurabili danni alla crescita e, inevitabilmente, farà lievitare i costi di tutti i prodotti.

È vero la guerra in Ucraina e le sanzioni inferte alla Russia hanno inciso sul cambiamento della normalità del nostro sistema economico ma penso abbiano inciso di più i sette anni di stasi di attività, nel comparto delle costruzioni, da parte di Governi che, dal 2015 in poi, si sono cimentati nella gestione della cosa pubblica.


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