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POTENZA – Scaduti 4 anni dall’incarico di procuratore di Matera, Celestina Gravina può restare al suo posto? E’ quello che dovrà decidere a breve il Csm raccogliendo quanto emerso durante le audizioni che nei giorni scorsi si sono svolte a Potenza in Consiglio giudiziario.
Tra le persone sentite ci sono diversi magistrati e due noti avvocati materani che di recente hanno depositato un esposto molto critico sulla gestione degli uffici inquirenti della città dei Sassi.
Negli anni scorsi quello di Matera è diventato un vero e proprio caso. Più volte le cronache si sono occupate dei contrasti tra la procura retta dalla Gravina e i colleghi della Direzione distrettuale antimafia di Potenza, prima, e della superprocura guidata da Franco Roberti, poi. Un contrasto su metodi investigativi e mancate segnalazioni, finito al centro anche della visita della Commissione bicamerale antimafia arrivata a Matera la scorsa primavera. Di qui l’esigenza di un approfondimento da parte del Csm, attraverso il Consiglio giudiziario, per valutare la conferma dell’incarico alla Gravina.
Sullo sfondo ci sono sempre gli incendi, i danneggiamenti e gli episodi di intimidazione che di recente hanno colpito soprattutto le aziende del metapontino.
Gli investigatori della Dia di Bari solo nell’ultimo anno e mezzo hanno messo in fila una trentina di casi sospetti. Motivo per cui l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia è tornata ad occuparsene, evidenziando la loro «ininterrotta ripetitività» e la «circoscritta localizzazione territoriale». Elementi che «sembrano smentire l’occasionalità degli episodi e la validità del metodo investigativo sino ad oggi utilizzato».
Sui contrasti la superprocura di Roberti parla di «un’annosa querelle». Risolta solo in parte dal summit convocato nei mesi scorsi a Potenza tra inquirenti e forze dell’ordine.
Da allora sarebbe «sicuramente migliorato lo scambio informativo» sui fatti d’interesse dell’antimafia che avvengono in regione. Annotano Francesco Mandoi ed Elisabetta Pugliese, raccogliendo le parole di soddisfazione del procuratore di Potenza Luigi Gay.
Ma da parte della Procura di Matera i silenzi resterebbero ancora troppi, in violazione dei protocolli approvati tempo addietro. Come nel caso degli arresti effettuati a giugno per tentata estorsione, armi ed esplosivi ai danni del titolare della sala ricevimenti “Giardini della Corte” di Matera. Per cui «la gravità dei fatti occorsi avrebbe dovuto consigliare una informazione preventiva e non postuma alla Dda di Potenza». Un caso risolto, che è già un dato importante visto che erano stati proprio gli attentati esplosivi all’ingresso della sala ricevimenti ad allarmare i parlamentari della Commissione bicamerale antimafia. Ma comunque uno dei pochissimi.
La Direzione nazionale antimafia spiegava con una certa frustrazione che «un corretto approccio all’analisi dei fenomeni criminali del distretto, impone una trattazione diversificata con riferimento alle diverse parti del territorio e, in particolare, all’area potentina e a quella materana; vuoi per indubbie differenziazioni delle caratteristiche della criminalità nelle rispettive aree, vuoi per un atteggiamento, tuttora differente, delle procure territoriali rispetto alla lettura dei fatti di criminalità ivi occorsi».
Il risultato è che «inquietanti e non ancora decifrabili appaiono gli ulteriori e gravi episodi di intimidazione e danneggiamento perpetrati ai danni di aziende esercenti attività commerciali e produttive, che si ripetono da anni nella fascia costiera del Materano».
«Come già accennato – insistevano Roberti e i suoi magistrati – l’attività investigativa frammentaria e parcellizzata di singoli episodi – spesso arrestatasi alle più immediate e presumibili motivazioni di taluni di essi – non ha giovato ad una lettura unitaria che – sia pure con il pregiudizievole ritardo attribuibile al carente scambio informativo con la procura della Repubblica di Matera – la Dda sta cercando di fare, sulla base di una ricostruzione avanzata in una informativa della Questura di Potenza».
Celestina Gravina è arrivata a Matera, la sua città, da Milano verso la fine del 2010 per prendere il posto di Giuseppe Chieco. Nel capoluogo lombardo si era occupata in prima persona di antimafia. Lei l’erede designata delle inchieste condotte da Ilda Boccassini, partita per Palermo subito dopo le stragi in cui morirono Falcone e Borsellino.
Anche allora alcune sue prese di posizione avevano fatto storcere molti nasi, soprattutto tra colleghi. Come quando avrebbe rifiutato, unica tra i pm in servizio in procura, di firmare un documento di solidarietà al pool di “mani pulite” dopo lo scontro col guardasigilli dell’epoca.

 

l.amato@luedi.it

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