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La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola saluta Mario Draghi

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E’ LA pace «la più importante sfida che attende l’Unione Europea». Ed è «l’obiettivo verso cui l’Europa si deve muovere» e «verso cui si muove il governo italiano». «L’Europa può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo» e l’Italia «è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica».

Mario Draghi, per la prima volta di fronte al Parlamento europeo da quando ha lasciato la guida della Bce, traccia la rotta dell’Europa – e ribadisce quella dell’Italia – di fronte alle tante sfide che la guerra di Putin all’Ucraina le pone di fronte.

«L’Europa si trova ad affrontare un altro momento “whatever it takes”, afferma la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, citando la celebre frase usata dal Draghi banchiere centrale alle prese con il salvataggio dell’euro. E – dalla diplomazia alla difesa, dall’economia all’energia – il premier italiano indica la “sua” strategia. «La guerra in Ucraina pone l’Europa di fronte a una delle più grandi crisi della sua storia» che è insieme «umanitaria, securitaria, energetica ed economica», per affrontarla, sostiene il premier, occorre «la stessa prontezza» di cui si è data prova durante la pandemia, con la campagna vaccinale e «il progetto di ricostruzione europea» attraverso il Next Generation EU. Ma dinnanzi alla nuova realtà determinata dalla pandemia prima e ora dalla guerra, le istituzioni europee «sono inadeguate»: serve «un federalismo pragmatico», afferma Draghi, «che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso – dall’economia all’energia, alla sicurezza», accanto a un «federalismo ideale» in un momento in cui «i nostri valori di pace, solidarietà e umanità hanno bisogno di essere difesi».

Per difenderli, occorre essere uniti: «Se questo richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con fiducia»: il premier insiste sulla necessità di una svolta per rendere l’Europa più reattiva e pronta ad approntare le soluzioni volta per volta necessarie di fronte alle sfide attuali e future. La più impellente è quella della pace nel continente messa a repentaglio dall’aggressione russa all’Ucraina. Il premier parla dei diritti umani «oltraggiati» a  Mariupol e Bucha, e non solo, e ribadisce che «non può esserci equivalenza tra chi invade e chi resiste». Aiutare l’Ucraina, sostiene, «vuol dire soprattutto lavorare per la pace». Il cessate il fuoco «è la nostra priorità» e la tregua «darebbe nuovo slancio ai negoziati».

Intanto si “contano” le ricadute economiche del conflitto: secondo la Fao, ricorda il premier, 13 milioni di persone in più potrebbero soffrire la fame tra il 2022 e il 2026 a causa dell’instabilità delle catene di approvvigionamento (Russia e Ucraina rappresentano oltre un quarto delle esportazioni globali di grano) e dei prezzi dei cereali e di fertilizzanti che «hanno toccato i massimi storici». Come quelli dell’energia – dal petrolio al gas che oggi costa 5 volte di più rispetto a un anno fa – che «hanno spinto l’inflazione su livelli che non si vedevano da decenni», con un «impatto significativo sul potere d’acquisto delle famiglie e la «competitività delle imprese».

«L’economia europea è in una fase di rallentamento», afferma Draghi, ricordando che il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso dal 4% al 2,9% le stime di crescita per il 2022. La somma di tutte queste crisi «impone un’accelerazione decisa nel processo di integrazione», sostiene il presidente del Consiglio declinandola settore per settore. Sulla difesa, dice, occorre costruire un coordinamento efficace tra i diversi sistemi: 146 contro i 34 degli Usa, a fronte di una spesa in sicurezza che è circa tre volte quella della Russia. Draghi sollecita la convocazione di «una conferenza per razionalizzare e ottimizzare gli investimenti in spesa militare», nonché il superamento del «principio dell’unanimità» nelle decisioni, sostituendolo con «la maggioranza qualificata». Bisogna poi accelerare sul processo di allargamento: «Vogliamo l’Ucraina nell’Unione Europea», torna a dire ma ribadisce anche il sostegno all’adesione di Albania, Macedonia del Nord, Serbia, Montenegro e «attenzione alle legittime aspettative di Bosnia, Erzegovina e Kosovo». Oltre all’accoglienza dei profughi ucraini, l’Europa deve «definire un meccanismo efficace di gestione» dei migranti in arrivo da «altri contesti di guerra e sfruttamento».

La linea Draghi guarda al superamento della logica del Trattato di Dublino. E indica la necessità di «una maggiore attenzione al Mediterraneo», soprattutto alla luce dell’emergenza energetica posta dal conflitto che ha mostrato «la vulnerabilità di molti dei nostri Paesi nei confronti di Mosca». Tra questi l’Italia – che importa dalla Russia il 40% del fabbisogno di gas – sottolinea Draghi, è tra i più esposti. «Una simile dipendenza energetica – evidenzia – è imprudente dal punto di vista economico e pericolosa dal quello geopolitico». Il Paese «appoggia le sanzioni contro Mosca, anche quelle nel settore energetico, e continueremo a farlo con convinzione», assicura il premier che spinge poi per una scossa sul fronte dell’affrancamento dal gas russo. «Noi l’abbiamo fatto e continueremo a farlo. Ci siamo mossi con notevole rapidità per diversificare le nostre fonti di approvvigionamento e per accelerare gli investimenti nelle rinnovabili, con un ritmo che non era previsto l’anno scorso», afferma citando i provvedimenti varati lunedì dal Cdm che portano «a una liberalizzazione dei processi, delle autorizzazioni per l’installazione» di impianti per produrre energia da fonti rinnovabili».

Allo stesso tempo sollecita all’Europa «soluzioni per proteggere  le famiglie e le imprese dai rincari del costo dell’energia». E rilancia la battaglia italiana per mettere un tetto al prezzo del gas di Mosca che «consentirebbe di utilizzare il nostro potere negoziale per ridurre i costi esorbitanti che oggi gravano sulle nostre economie» e «diminuire le somme che ogni giorno inviamo al presidente Putin, e che inevitabilmente finanziano la sua campagna militare». Occorrono poi soluzioni strutturali per «spezzare il legame tra il prezzo del gas e quello dell’energia»: «I rincari sul mercato del gas si sono riversati su quello dell’energia elettrica, sebbene il costo di produzione delle rinnovabili, da cui ormai otteniamo una parte consistente di energia, sia rimasto molto basso».

Dal canto suo l’Italia è intervenuta con 30 miliardi, gli ultimi 14 stanziati con il decreto licenziato lunedì dal Cdm, in parte finanziato con un ulteriore prelievo sugli extra profitti che così arriva al 25% e consente, sottolinea Draghi, di dare un assegno flat a 28 milioni di persone con redditi bassi, fino a 35mila euro» compensando in parte il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione. «E’ un modo per aiutare le famiglie più povere senza necessariamente minare la solidità di bilancio per il quale occorre particolare cura», spiega ai parlamentari che gliene chiedo conto, sottolineando quanto siano stati «incredibili» i profitti realizzati dalle aziende dell’energia elettrica come i guadagni realizzati dalla Norvegia: 150 miliardi di dollari per un paese di 5 milioni di abitanti.

All’Europa Draghi chiede risposte comuni di fronte alle diverse crisi aperte dal conflitto che, evidenzia, si aggiungono «alle esigenze di spese enormi» derivanti dagli investimenti per la transizione ecologica e digitale. A questi si sommano «i costi del conflitto che dobbiamo affrontare subito per evitare che l’Europa vada in recessione», afferma, sottolineando che si tratta di «costi asimmetrici» per le diverse fasce di popolazione e settori produttivi e «richiedono misure di compensazione». «Nessun bilancio nazionale può sostenere questi sforzi da solo e nessun Paese può essere lasciato indietro», ne va «della pace sociale del Continente – dice – e della capacità di sostenere le sanzioni».

Gli strumenti ci sono e intanto indica la necessità di «ampliare la portata» del Sure – il programma che “concede” prestiti agli Stati per sostenere il mercato del lavoro – in modo da fornire finanziamenti che i governi potrebbero impiegare subito «a sostegno dell’economia» – riduzione delle bollette, sostegno temporanei ai salari più bassi, etc – limitando il rischio di instabilità finanziaria. Quanto agli investimenti di lungo periodo sulla difesa, l’energia, la sicurezza alimentare e industriale, sostiene il premier, il modello è quello del Next Generation Eu. A chi gli sottopone la questione delle modifiche al Pnrr, Draghi risponde che semmai il problema «è assicurarsi che i cantieri restino aperti e si aprano quelli delle nuove gare».

«Per questo – dice – il governo ha stanziato 3 miliardi in modo da permettere alle imprese di recuperare il 90% dell’aumento dei prezzi delle materie». «Prima di parlare di modifiche facciamolo funzionare – puntualizza – Il Pnrr non è vecchio. Poi se è necessario modificare alcune cose, investimenti specifici per i quali bisognerà intervenire appositamente, ma non si parli di rivoluzione di Pnrr». Su un’altra questione una domanda consente al premier di ribadire la sua posizione su una questione molto dibattuta: il Superbonus. «Non siamo d’accordo sulla validità di questo provvedimento» con il quale, sostiene, «il costo di efficientamento è più che triplicato, i prezzi degli investimenti sono più che tripli perché toglie la trattativa sul prezzo».

Comunque, dice, «le cose vanno avanti in Parlamento». Dove, intanto, il Movimento 5 Stelle è immediatamente salito sulle barricate. Un altro fronte di scontro dopo quello sul termovalorizzatore di Roma che è costato il varo del pacchetto di aiuti da 14 miliardi senza il voto grillino.


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