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Nicola Gratteri e Nino Di Matteo

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ROMA – Giovanni Melillo è stato eletto nuovo procuratore nazionale antimafia (LEGGI), ha raggiunto dalla prima votazione i 13 voti necessari. Sono 7 invece i voti andati al capo della procura di Catanzaro Nicola Gratteri e cinque quelli a favore di Giovanni Russo, fino ad oggi reggente della procura nazionale antimafia.

Il voto in seno al Csm per la scelta del nuovo procuratore nazionale antimafia

In particolare, i vertici della Cassazione, il primo presidente Pietro Curzio e il Pg Giovanni Salvi, hanno sostenuto la nomina di Giovanni Melillo a procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nomina proposta da Area (5 consiglieri), il gruppo delle toghe progressiste, in cui milita lo stesso capo della procura di Napoli. Per lui hanno votato anche i 3 consiglieri di Unicost e i laici Michele Carabona (Forza Italia) e Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati (M5s)

A favore di Nicola Gratteri, invece, hanno votato i togati ‘indipendenti’ Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, e i tre componenti di Autonomia e Indipendenza, i laici Stefano Cavanna e Emanuele Basile (Lega) e Fulvio Gigliotti (M5s), relatore della proposta a favore del capo della procura di Catanzaro.

Per Giovanni Russo hanno votato invece l’intero gruppo di Magistratura Indipendente e il laico di Forza Italia Alessio Lanzi.

L’appello pre voto di Ardita e Di Matteo: «Devastante non eleggere Gratteri»

Ma non bisogna cadere nell’errore di pensare che la scelta del Csm possa chiudersi senza polemiche. Già prima della votazione Sia Ardita che Di Matteo avevano messo in luce i pericoli di una mancata nomina di Gratteri arrivando a definire l’ipotesi, adesso concretizzatasi, come “devastante”.

«È come se la storia non ci avesse insegnato nulla – ha detto Ardita – La tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento. L’esclusione di Gratteri sarebbe non solo la bocciatura del suo impegno antimafia, ma un segnale devastante a tutto l’apparato istituzionale e al movimento culturale antimafia».

Dal canto suo Di Matteo ha evidenziato in una nota di appello ai colleghi, caduta nel vuoto evidentemente, che si tratta «di una scelta di politica giudiziaria alta, che non deve essere condizionata da giochi di potere di nessun tipo, né da calcoli opportunistici, perché oggi è questo che si chiede al Csm».

Lo storico pm protagonista dell’inchiesta sulla Trattative Stato-Mafia ha evidenziato, inoltre, la «maggiore e più spiccata idoneità allo scopo del procuratore Gratteri, il più idoneo a dare rinnovato slancio alla Dna. Si tratta di uno dei magistrati più esposti al rischio. Sono state acquisiste notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto».

Se per Di Matteo «una scelta eventualmente diversa suonerebbe inevitabilmente come una bocciatura del dottor Gratteri e non verrebbe compresa da quella parte di opinione pubblica ancora sensibile al tema della lotta alla mafia e agli occhi dei mafiosi risulterebbe come una presa di distanza istituzionale da un magistrato così esposto». Un timore che adesso diventa quasi un avvertimento, perché la mancata elezione di Gratteri, stando alla tesi di Di Matteo, apre nuove questioni riguardanti proprio la sicurezza e il lavoro del procuratore capo del capoluogo calabrese.

Sì perché, se si assumono come concrete e potenzialmente realistiche le tesi di Di Matteo allora le prossime settimane potrebbero essere molto delicate: «Dobbiamo avvertire la responsabilità – aveva detto Di Matteo nel suo appello – di non cadere negli errori che in passato, troppe volte, hanno tragicamente marchiato le scelte del Csm in tema di lotta alla mafia e che in certi casi hanno creato quelle condizioni di isolamento istituzionale che hanno costituito il terreno più fertile per omicidi e stragi».


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