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Vladimir Putin

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Aziende straniere in Russia a rischio nazionalizzazione? Dopo il “caso Renault”, cresce il rischio che gli asset delle società estere che abbandonano la Russia vengano espropriati e trasferiti a gestioni esterne o, nel caso, peggiore, statalizzati, ma anche le aziende che sono rimaste non sono esenti da rischi, sia pure più contenuti.

La black list comprende già 59 multinazionali statunitensi, giapponesi ed europee, tra cui McDonald’s, Volkswagen, Apple, Ikea, Microsoft, Ibm, Shell, Porsche, Toyota, H&M. Ma ora anche le aziende italiane transfughe sono finite nel mirino della Federazione russa. La Confindustria e l’Ice (Istituto per il commercio estero) avevano già lanciato l’allarme a marzo. Da allora, però, le relazioni tra il nostro Paese e la Russia sono peggiorate.

GLI IRRIDUCIBILI

Non sono solo l’interscambio commerciale e il turismo incoming a essere stati travolti dalla tempesta delle sanzioni della Ue, ma anche le relazioni diplomatiche sono prossime alla rottura, specie dopo l’espulsione di 24 diplomatici della nostra ambasciata e, in ogni caso, sono a un livello tra i più bassi registrati dal Secondo dopoguerra. Al punto che Mosca definisce l’Italia un «Paese ostile».

Nonostante questo quadro tutt’altro che rassicurante, a quasi tre mesi dall’inizio delle ostilità e dopo cinque pacchetti di sanzioni sono ancora molte le nostre aziende che hanno deciso di non abbandonare la Russia. Dopo la Cina e la Francia siamo il terzo Paese al mondo a guidare questa classifica, con il 70% delle imprese che ha deciso di restare. Da segnalare che nessun Paese ha posto divieti in tal senso e che la decisione di restare, di ridurre l’attività o di andare via è stata presa in piena autonomia dalle aziende private estere per motivi politici o morali.

Dal 24 febbraio 2022, primo giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, quasi 500 imprese straniere, che occupano 34-35mila addetti e generano un fatturato di 7,4 miliardi di euro, hanno deciso di andarsene. Secondo la Yale School of Management, sono quasi i due terzi (63%) del totale delle imprese censite, che ammonta a 773. Il 17%, invece, ha deciso di rimanere, il 12% di aspettare ancora prima di prendere una decisione e l’8% di ridurre la propria attività.

È interessante notare che il 75% delle imprese cinesi ha deciso di non abbandonare la Russia, ma a sconvolgere è soprattutto il fatto che al secondo posto ci siano quelle francesi con il 68% e poi le italiane con il 64%.
In Russia operano 480 aziende italiane, 30 con impianti produttivi, 150 con cooperazioni produttive o joint venture, 300 imprese con uffici di rappresentanza. Tra queste il 69% ha deciso di non abbandonare la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, percentuale che si confronta con il 42% della media mondiale.

RISCHI DIVERSIFICATI

Lo stock degli investimenti diretti esteri italiani diretti in Russia è stato valutato dall’Istituto per il commercio estero in 11,5 miliardi di euro, che sommano il totale delle attività, delle infrastrutture e degli asset materiali di proprietà di istituzioni nazionali nella Federazione. Estendendo il totale agli alleati economici di Mosca nell’Unione economica euroasiatica, i cui sistemi sono strettamente collegati a quelli della Russia, si arriva a uno stock di 13,4 miliardi di euro complessivi, di cui un miliardo concentrati in Bielorussia, nazione che con maggiore probabilità seguirà le mosse di Mosca.

Tra queste ci sono colossi del calibro di Todini Costruzioni, Barilla, Pirelli, Marcegaglia, Leonardo, Tecnimont, Coeclerici, Costa Crociere, Enel, Eni, Danieli, Parmalat, Mapei, Menarini, Salini, Perfetti, Angelini, Alfasigma, Chiesi, Kedrion, Italfarmaco, Recordati, Zambon, Dompé.

A quali rischi andranno incontro le aziende italiane che hanno deciso di non abbandonare la Russia? Secondo Alberto Conforti, managing director e responsabile del dipartimento internazionalizzazione della Livolsi & Partners, le grandi imprese potrebbero avere problemi a fare rientrare in Italia i propri profitti, le piccole e medie imprese andranno incontro a una riduzione dei profitti a causa della svalutazione del rublo, mentre le piccole imprese commerciali saranno penalizzate dai prezzi della logistica e dalla svalutazione del rublo.

E per quelle che invece hanno volontariamente abbandonato la Russia? Nel recente rapporto sui rischi dei Paesi, redatto prima dell’invasione russa dell’Ucraina, la Sace (la società per azioni controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze, specializzata nel settore nell’export credit, nell’assicurazione dei crediti, nella protezione degli investimenti, nelle garanzie finanziarie, nelle cauzioni e nel factoring) ha sostenuto che «aumenta anche il rischio di esproprio, sulla scia delle eventuali possibili ritorsioni sugli investitori internazionali per le sanzioni imposte a Mosca, traducendosi in azioni di confisca, senza adeguate compensazioni, o in eventi di creeping expropriation, ovvero la graduale imposizione di limiti all’attività operativa di un’impresa in un Paese estero che ne condiziona le azioni.

Il governo russo sta considerando la possibilità di dichiarare l’insolvenza e nazionalizzare la proprietà delle aziende straniere che lasciano la Russia, aveva sibilato il vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, nonché ex premier, Dmitry Medvedev sulla sua pagina Facebook, parlando di una «risposta simmetrica» alle sanzioni imposte.

Mosca ha approvato l’iniziativa del partito “Russia Unita” sulla possibile vendita di società straniere e persino sulla loro nazionalizzazione in caso di uscita dal mercato russo o di rischio di liquidazione e fallimento ingiustificati.
Per tali organizzazioni si propone di introdurre la gestione esterna con la successiva vendita di azioni all’asta e, in caso di fallimento di quest’ultima, con il trasferimento delle quote al saldo alla Federazione Russa.

LE MOSSE DI MOSCA PER FERMARE L’ESODO

Con questa modalità di emergenza, le autorità prevedono di fermare l’esodo di massa di società straniere dal mercato russo e di salvare posti di lavoro.
Il ministero dell’Economia sta già elaborando un disegno di legge che regola questa nuova procedura. Il dipartimento chiarisce che si tratta dell’introduzione della gestione esterna nelle società appartenenti per oltre il 25 per cento a persone giuridiche estere.

La gestione esterna sarà richiesta al momento dell’effettiva cessazione della gestione dell’organizzazione: ad esempio, se la direzione ha abbandonato il territorio della Federazione russa dopo l’inizio dell’operazione militare in Ucraina, lasciando l’azienda senza governo o incapace di adempiere ai propri obblighi.

Per introdurre la gestione esterna sarà richiesta una domanda al tribunale arbitrale da parte di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione o dal Servizio fiscale federale. Tra i candidati per il ruolo di amministrazione esterna c’è l’Istituzione per lo sviluppo economico della Russia (Veb.Rf) bandita dalle sanzioni e per le organizzazioni finanziarie l’Agenzia di assicurazione dei depositi.


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