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POTENZA – Il tentativo reiterato di “spalmare” su più anni la copertura del disavanzo ereditato dalla vecchia amministrazione rappresenta una forma di «ecclettismo» contabili, che «disattende con particolare gravità il valore del ciclo di bilancio». Ciclo che «assume rilievo come bene pubblico, ovvero come insieme di documenti capaci di informare con correttezza e trasparenza il cittadino sulle obbiettive possibilità di realizzazione dei programmi e sull’effettivo mantenimento degli impegni elettorali, «onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività».

E’ quanto afferma la Corte costituzionale nella sentenza con cui è tornata, nei giorni scorsi, sul bilancio della Regione Basilicata e le leggi in cui è stato consacrato, nel 2021, dichiarandole – appunto- incostituzionali.  

I giudici hanno accolto l’impugnativa del governo che riguardava il possibile contrasto con la normativa statale in materia di armonizzazione dei sistemi contabili, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, nella parte in cui sancisce la competenza esclusiva dello Stato in materia di bilanci pubblici. Quindi sono tornati a bacchettare l’amministrazione guidata dal governatore Vito Bardi perché dei 67.891.976,83 euro di disavanzo rivenienti «dagli esercizi 2018 e 2019» al 31 dicembre 2020 sarebbero stati ripianati appena «5.753.026,83 euro». Come pure per il ritardo nell’approvazione del piano di rientro dal disavanzo in questione, avvenuta a luglio 2021, rispetto a quella del bilancio triennale 2021-2023, avvenuta ad aprile 2021. O ancora l’estensione del piano di rientro al 2024, quando dovrebbe essere in carica un’altra amministrazione.  

Nella sentenza viene riprodotto anche il contenuto di una precedente pronuncia con cui era stato fatto notare, proprio alla Regione Basilicata, che «la norma statale evocata, nell’ammettere, in subordine al ripiano immediato, la possibilità di frazionare il recupero del disavanzo nel triennio considerato nel bilancio di previsione e in ogni caso non oltre la durata della legislatura regionale “si pone in chiaro collegamento con la programmazione triennale (…)”, la cui durata va “ritenuta congrua per il ripristino dell’equilibrio dell’ente turbato dalla emersione di un disavanzo ordinario”».  

In conclusione: «Le previsioni regionali impugnate delineano modalità di copertura del disavanzo presunto al 31 dicembre 2020 contrastanti con i richiamati principi contabili, inattendibili sotto il profilo contabile e tali da determinare un indebito «trascinamento nel tempo» del disavanzo stesso». Ma la Corte ha voluto ricordare anche un principio alla Regione Basilicata, che sa di monito rispetto ad eventuali ulteriori inadempimenti dei precetti costituzionali. Inadempimenti che a un certo punto potrebbero anche finire al vaglio di altre magistrature, per capire – ad esempio –  la legittimità delle spese effettuate attingendo da un bilancio “gonfiato” a causa del mancato ripianamento del disavanzo dei bilanci precedenti.

«E’ solo il rispetto di un linguaggio contabile comune che impedisce a un sistema informato al pluralismo istituzionale di degenerare in un’ingestibile moltitudine di monadi contabili- sottolinea la Consulta -, a danno non solo delle possibilità di coordinamento, ma finanche dello stesso principio di responsabilità politica, quando l’inosservanza delle regole di tale linguaggio è funzionale, negli enti autonomi, a realizzare indebiti artificiosi aumenti della capacità di spesa».

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