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POTENZA – Adesso è il momento del cordoglio, che nella società liquida del web corre sui social. Con dolore reale e qualche immancabile punta di retorica.

Il dramma di Dragonara viene letto in filigrana col linguaggio neo-borbonico ed è indicativo che il sito di RaiNews scelga una foto di briganti – forse sarebbe stato meglio un panorama di Potenza – a corredo del lancio di cronaca. Il cordoglio sul web sembra deragliare verso un’apologia del movimento che inneggia al brigantaggio.

L’Associazione culturale Neoborbonica sul suo sito scrive che «Solo chi non li conosceva e non li aveva mai visti con la loro divisa può pensare che erano semplici attori o semplici figuranti. Donato e Agostino erano soldati delle Due Sicilie, soldati semplici e mai aggettivo fu più appropriato, e briganti veri e fieri. Nel nostro mondo accade una cosa che forse ha pochi precedenti nel mondo delle rievocazioni storiche: non esistono “figuranti” e chi indossa quelle divise lo fa sapendo che cosa e perché lo sta facendo e con una fierezza che si può leggere finanche negli sguardi».

Dal profilo di una delle due vittime, Donato, il profilo Ci Siamo Anche Noi è ancora più chiaro nell’incarnare un sentire comune tra le frasi nelle quali abbiamo avuto modo di imbatterci per tutta la giornata di ieri: «Nelle tue parole c’è sempre stata la conoscenza della verità e la volontà di farla sapere a quante più persone possibili. E la vita ha scelto di portarci il tuo saluto proprio combattendo affinché quella verità fosse conosciuta e apprezzata anche attraverso la vostra arte, la vostra testimonianza, il vostro lavoro. Il lavoro di Agostino e di Donato. Così se ne vanno i soldati delle Due Sicilie. Così se ne vanno i Briganti. Così se ne vanno chissà quante stupende e meravigliose cose ci sarebbero potute essere. Non temiamo di usare parole troppo altisonanti, in questa società che innalza al rango di eroi troppa gente, di dubbia condotta e con strani vissuti, gente che viene considerata eroica solo perché la tv ne descrive continuamente le polemiche generate dalle loro tragiche sorti, noi no. Noi abbiamo sempre considerato eroi non le persone fuori dal comune, ma le persone che, senza clamore e nel silenzio, hanno operato, professionalmente o da dilettanti, con amore e passione autentica e non per ambizione o egoismo fini a se stessi, come disse un tempo qualcuno importante».

Connotazioni politiche a parte, in generale la Basilicata è molto sensibile alle rievocazioni: si va appunto dal filone federiciano al medioevo per arrivare ai parchi letterari: è a modo sua una rievocazione quella “permanente” che ad Aliano celebra Carlo Levi, confinato dal Regime ottant’anni fa e lì sepolto per suo stesso volere; il festival La Luna e i Calanchi ha pacificamente proposto esplosioni poetiche, artistiche e musicali e i briganti – che fanno parte del luogo come di ogni entroterra profondo a sud di Napoli – si sono manifestati solo nelle canzoni sul palco, nessuna arma fortunatamente.

Restando ad Aliano-Gagliano, c’è anche un precedente letterario, proprio leviano, in cui persino l’orario combacia col dramma dell’altro ieri sera a contrada Dragonara: «Erano le dieci, e dovevo rientrare. Dalla mia terrazza, con Barone che guardava eccitato in aria e abbaiava agli spari, rimasi ancora a lungo a contemplare le luci che salivano e ricadevano sfriggendo sull’argilla del Timbone, e ad ascoltare il rimbombo degli scoppi. Poi ci fu il lancio accelerato di venti fuochi, e il gran colpo finale; e udii a poco a poco la gente disperdersi, i passi sulle pietre, lo sbattere degli usci. Il giorno della festa contadina era finito, con la sua agitazione frenetica e infuocata; gli animali dormivano, e sul paese buio era tornato il silenzio e l’oscurità vuota del cielo».

Le rievocazioni sono insomma storia antica in Basilicata. Proprio ieri, si spera per una combinazione, il centro studi Thalia lamentava l’assenza di un consorzio di coordinamento dei circa 40 eventi storico-culturali lucani: «Dalle più longeve e conosciute (al pubblico extraregionale) rievocazioni dedicate alla Festa dello Spirito Santo di Melfi, all’Epoca dei Cavalieri Medievali (Acerenza), alla storia di Giovanna I D’Angiò (Muro Lucano), alla Congiura dei Baroni (Miglionico) a quelle più recenti sulle tracce degli Arabi (Pietrapertosa) o dedicate all’epopea dei Briganti». Tra queste, a Ruvo del Monte si rievoca l’assalto del 10 agosto 1861, anno cruciale che anche Pietragalla ricorda coinvolgendo pure le scuole, mentre Melfi fa rivivere la parata dei briganti. Nella foresta di Lagopesole l’epopea di Ninco Nanco è una tappa di turismo storico-antropologico più di quella legata al castello di Federico II.

Forse, a proposito di armi, potrebbe fare scuola il cinespettacolo “La storia bandita” che La Grancia dedica al brigante Carmine Crocco a Brindisi di Montagna: si tratta di «una rappresentazione “polimediale” che mescola diversi linguaggi artistici, dal teatro, al cinema, al musical, un’esperienza “5D” che coinvolge tutti i sensi, dando allo spettatore la sensazione di trovarsi dentro un set cinematografico che prende forma sotto i suoi occhi. L’atmosfera è resa spettacolare dall’impiego dei più moderni effetti speciali: proiezioni sulla montagna, potenti sorgenti di suono distribuite sull’intera scena, schermi d’acqua ed effetti pirotecnici realizzati dai grandi maestri dell’Officina Rambaldi, che simulano esplosioni, incendi, battaglie». 

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