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Domenico Bonavota

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L’ex boss del clan di Sant’Onofrio Domenico Bonavota al processo Rinascita-Scott afferma: «La ’ndrangheta mi fa schifo»

VIBO VALENTIA – Esame e controesame di oltre due ore. A parlare in videoconferenza è colui il quale è ritenuto a capo dell’ala militare del clan Bonavota di Sant’Onofrio: Domenico Bonavota. A “Rinascita-Scott” è andata quindi di scena la sua arringa caratterizzata da frasi del tipo: «Non faccio parte della ’ndrangheta, anzi la ’ndrangheta mi fa schifo», ha affermato rispondendo alle domande del pm antimafia Annamaria Frustaci.

Sono, tuttavia, diversi i collaboratori di giustizia che fanno il suo nome ponendolo al vertice della ’ndrina di Sant’Onofrio, allo stesso livello del fratello più grande, Pasquale Bonavota, il latitante di ’ndrangheta più ricercato in Italia, inserito nella black-list del Viminale dalla quale l’altro ieri è stato spuntato il nome di Matteo Messina Denaro, l’ultimo padrino di Cosa Nostra. E mentre Pasquale è tra i latitanti più ricercati in circolazione, il fratello Domenico si è difeso nell’aula bunker respingendo al mittente tutte le accuse.
Ha quindi negato di essere un boss e sottolineato a più riprese di «non far parte di alcun sistema e di alcuna organizzazione malavitosa».

Bonavota ha snocciolato atti, date, persino certificati di detenzione, affermando di aver seguito tutte le udienze del dibattimento tanto che nella propria «cella ci sono più carte processuali che biancheria». Imputato per associazione mafiosa, Bonavota veste subito i panni del detenuto incarcerato ingiustamente e della vittima dei pentiti che lo accusano di essere uno dei boss più sanguinari della ’ndrangheta vibonese: «La dote del vangelo? Non so cosa sia – dichiara . Conosco solo il Vangelo degli atti degli apostoli per averlo studiato al catechismo».

DOMENICO BONAVOTA SMENTISCE DI APPERTENERE ALLA ‘NDRANGHETA: «MI FA SCHIFO»

Smentisce con forza di essere persino affiliato alla ’ndrangheta e quando il pubblico ministero ha parlato di Polsi e del riconoscimento della famiglia Bonavota come consorteria mafiosa, l’imputato non ha fatto una piega: «Non so neanche dove sia questa Madonna di Polsi perché noi non abbiamo mai fatto parte di un contesto mafioso».

«Frottole», «menzogne», «bugie», «invenzioni», quelle dei pentiti che lo accusano. Il bersaglio preferito è ovviamente il collaboratore di giustizia più temuto dalla ’ndrangheta vibonese, Andrea Mantella. Per il presunto boss di Sant’Onofrio sarebbe «il professionista della menzogna» e velatamente lo insulta anche in aula ricordando un vecchio nomignolo con il quale il pentito veniva apostrofato ai tempi dell’operazione Asterix: «Lo ho conosciuto nel 2004 per mia disgrazia e sfortuna».

Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci lo ha incalzato ricordandogli che più fonti lo accusano di essere tra i protagonisti di quel gruppo autonomo antagonista ai Mancuso di Limbadi che ha insanguinato la provincia di Vibo ma Bonavota ha ribattuto: «Quando diventano collaboratori magari leggono gli atti giudiziari e se ne fregano se accusano uno, due o cento persone. Più accusano e più importanti diventano. L’unica spiegazione è questa. Io parlo con i certificati di detenzione che dicono questi soggetti sono dei bugiardi e collaborano solo per il loro interesse».

I PRESUNTI RAPPORTI TRA I BONAVATA E I GRANDE ARACRI

C’è chi come Giuseppe Giampà indica Bonavota in contatto con il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri per la creazione di una provincia di ’ndrangheta autonoma nel Catanzarese e comunque staccata dal dominio storico dei Mancuso, ma anche sul punto l’imputato ribatte: «Sono solo frottole perché a Nicolino Grande Aracri non lo ho mai conosciuto». E secondo quanto riferito non conoscerebbe neanche Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, uno dei capi dell’omonima cosca di Limbadi che il gruppo scissionista, che avrebbe avuto tra gli artefici proprio Domenico Bonavota e Andrea Mantella, voleva uccidere. Almeno questo è ciò che a più riprese diversi pentiti hanno raccontato, anche in aula a Rinascita-Scott.

Per il presunto capo dell’ala armata della consorteria sono «frottole» raccontate dallo stesso Mantella o «bugie» riferite dall’altro importante collaboratore di giustizia della malavita organizzata vibonese: Raffaele Moscato. Il refrain è sempre lo stesso: “Io ’ndranghetista? Assolutamente no e l’ho dimostrato nelle sedi giudiziarie facendo tre processi in Corte d’assise per 416 bis».

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