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Il cementificio Italcementi di Vibo Marina

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Le rivelazioni del nuovo pentito Domenico Guastalegname: «Il boss Luigi Mancuso interessato allo smantellamento del cementificio Italcementi di Vibo»

VIBO VALENTIA – Il boss Luigi Mancuso, ritenuto il capo del Crimine della provincia di Vibo, avrebbe manifestato interesse verso l’appalto per lo smantellamento dell’Italcementi, l’imponente cementificio, in disuso ormai da una decina d’anni, sito a Vibo Marina.

A riferirlo, per averlo appreso da Nino Purita, è il neo collaboratore di giustizia, Domenico Guastalegname. «Tra le molte confidenze mi disse che tra il 2014-2015, Nazzareno Colace doveva partecipare ad una gara di appalto relativa allo smantellamento del cementificio di Vibo Valentia. La stessa cosa mi era stata detta da Ivan Colace, a nome del quale il padre aveva aperto una ditta di smaltimento ferro attraverso cui contavano di entrare nell’affare. So che questa operazione Colace la stava organizzando unitamente a Luigi Mancuso, con il quale, dopo la sua scarcerazione, Colace aveva ripreso a lavorare a stretto contatto”.

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LE MIRE SI LUIGI MANCUSO SUL CEMENTIFICIO DI VIBO MARINA

Il pentito afferma di sapere del coinvolgimento di Mancuso in tale operazione in quanto riferitogli “sia da Purita che da Ivan Colace”. Inoltre, precisa che i rapporti tra questi due non sono mai stati molto distesi. Soprattutto in ragione dello stretto legame tra Purita e il padre di Ivan, Nazzareno. Rapporto che aveva dato al primo un prestigio superiore a quello di cui godeva lo stesso lvan. I due, inoltre, avevano una serie di affari in cui Ivan non era coinvolto. Ma, nella sostanza, il problema principale era che Purita possedeva un carisma superiore”.

LUIGI MANCUSO: «IL CAPO DELLA FAMIGLIA»

Domenico Guastalegname si sofferma poi sulla figura di Luigi Mancuso. «So che è a capo della famiglia, u zio Luigi, che è uscito di galera se non erro nel 2013, dopo una lunga detenzione. Posso dichiarare con certezza questo in ragione di una serie di dinamiche criminali in cui mi sono trovato direttamente coinvolto e che riconducevano direttamente a lui».

Il riferimento è al processo per l’omicidio del tabaccaio di Asti, Manuel Bacco, del dicembre 2019. Sentenza passata in giudicato per il pentito, il padre, Antonio Piccolo e altre due persone del luogo.

«Ricordo bene che durante un’udienza relativa al processo di primo grado, mentre mi trovato nella cella del tribunale di Asti insieme a mio padre e a Piccolo, quest’ultimo, parlando con mio padre, gli diceva davanti a me “allora pemmu nci a ‘nculamu tutti a u figgjhjiu du carbineri (l’imputato Jacopo Chiesi, ndr) pemmu nommu arrivaru a cosi brutti su voluntà du zio Luigi”. Intendendo dire che tutto fosse nato dalle mie dichiarazioni fatte alla procura di Asti. In quanto l’ordine dello Zio Luigi era quello di addossare tutte le responsabilità al figlio del carabiniere, ossia il mio amico Jacopo Chiesi. Che in realtà non c’entrava nulla con questo fatto e che io, nel mio interrogatorio, avevo volutamente discolpato».

NON SOLO IL CEMENTIFICIO DI VIBO, L’ATTENZIONE DEL BOSS LUIGI MANCUSO PER OGNI AFFARE ILLECITO

Per far capire in che modo la figura di Luigi Mancuso fosse “sempre dietro ogni affare illecito” di cui si occupava la sua famiglia o di cui era comunque a conoscenza per il tramite dei soggetti sui quali ha già riferito, il collaboratore cita anche la vicenda relativa alla discussione che c’era stata con i Pesce in relazione alla “gestione dello spaccio di droga all’interno dello stadio della Juventus”.

Nella specie «ricordo bene che mi trovato con mio padre, Valerio Navarra e Rocco Cichello a discutere di come risolvere questo problema. Mio padre disse che voleva recarsi da Zio Luigi per avere da lui una soluzione. A quel punto intervenne Navarra, dicendo che avrebbe parlato lui con Peppone Accorinti, senza bisogno di andare da Luigi Mancuso. In quanto la sua parola era come quella di Mancuso, intendendo dire che l’Accorinti aveva una posizione sicuramente tale da poter parlare in sua vece”.

Antonio Piccolo, il “Cavallo pazzo”

Secondo il neo pentito, Antonio Piccolo era «in grado di conoscere e riportare le volontà di Zio Luigi in quanto vantava un rapporto strettissimo con lui e con la famiglia Mancuso. Questo lo so per essermi stato riferito sia da Nino Purita che da Nazzareno Colace ma anche direttamente da mio padre».

«Questi mi dicevano anche che tipo di soggetto fosse Piccolo, ossia un malandrino che commetteva crimini per conto di Colace e dei Mancuso. Ricordo in particolare che li primo di riferì espressamente che era un “cavallo pazzo” e che in una occasione aveva affrontato da solo cinque persone con le quali aveva avuto una discussione, sparando a tutti quanti. Del resto, per come mi è stato detto sia da mio padre che dallo stesso Colace, la decisione di mandare Piccolo su ad Asti da noi era stata presa da Colace stesso unitamente a Luigi Mancuso. Volevano allontanarlo dalla Calabria a seguito di una vicenda che al momento non ricordo con precisione».

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