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Gaetano Aloe

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Le prime rivelazioni di Gaetano Aloe, il figlio del boss di Cirò Marina che ha deciso di pentirsi e svelare i retroscena della ‘ndrangheta

CIRÒ MARINA – «Ti faccio un bel regalo, te la senti di ammazzare “Cenzo”?». Inizia così la prima “cantata” di Gaetano Aloe da Cirò Marina, figlio di Nicodemo detto “Nik”, ucciso nel 1987 in un agguato spartiacque perché da allora assunsero il comando i fratelli Giuseppe e Silvio Farao e Cataldo Marincola.

Ma proprio a lui sarebbe toccato eliminare chi era ritenuto, negli ambienti criminali, l’esecutore materiale dell’uccisione del padre. E quando stava per andare a sentenza il processo per l’omicidio di Vincenzo Pirillo, filone del rito abbreviato, il pm Antimafia Domenico Guarascio, che in una precedente udienza aveva chiesto l’ergastolo per Giuseppe Spagnolo (cognato di Aloe) e l’assoluzione per Giuseppe Farao (ma pende il rito ordinario per Silvio Farao e Marincola), ha versato, agli atti del processo che si sta celebrando dinanzi al gup distrettuale di Catanzaro, le prime rivelazioni di Aloe, che si autoaccusa di aver compiuto materialmente il delitto.

Così l’udienza è slittata al 17 maggio, quando gli avvocati Gregorio Viscomi, Gianni Russano e Tiziano Saporito interloquiranno sulla possibilità di ammettere i verbali o sentire il pentito, che dovrà confermare eventualmente in aula la vendetta come “regalo” propostagli da uno dei plenipotenziari del clan, indicato in Pino Sestito.

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Ma sarebbe stato Marincola, allora latitante, che Pirillo incontrò a Cirò Superiore, a incaricarlo formalmente. «Ma tu cos’hai contro di me?». «Niente».«Te la senti di ammazzare Cenzo?» «E come non me la sento». Per l’omicidio di Pirillo, freddato mentre cenava con la sua famiglia nell’affollatissimo ristorante l’Ekò, la sera del 5 agosto 2007 a Cirò Marina, da un commando che ferì, tra gli altri, una bambina che la vittima designata teneva sulle gambe, sono imputati i capi storici della cosca Farao Marincola. Ma le rivelazioni potrebbero ampliare il già corposo quadro probatorio. Perché Aloe, il 22 marzo scorso, era un fiume in piena dinanzi al pm Guarascio.

«Così è il fatto ». Le “ambasciate” al cognato Spagnolo – «ha detto ‘u padrinu ca tu hai ammazzare Cenzu» – le avrebbero riportate ad Aloe, oltre che Sestito, anche Ciccio Castellano e Salvatore Siena. Castellano gli avrebbe portato una pistola. «Trovati qualcuno». «Io l’unico che voglio è Franco Cosentino, l’unico di cui mi fido». La voce sarebbe giunta a Pirillo che andò a trovare a casa Spagnolo facendogli rimostranze, tant’è che “Peppe” sarebbe stato contrariato dalla decisione in quanto sarebbe stato meglio che il cognato si facesse i fatti suoi. Ma in realtà «sapeva tutto». Finchè un giorno gli arriva l’input da Siena. «Fuja, fuja, che è misu all’Eco, è assettatu», è il racconto di Aloe infarcito di espressioni dialettali. A quel punto lo avrebbe raggiunto il complice con caschi, scooter e passamontagna rosa ricavati da collant, “’ccu ‘i buchi all’occhi”.

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«Io e Franchinuzzu ni simu azziccati supa ‘u motorino, abbiamo fatto il primo giro, l’amu vistu ca stava mangiannu, abbiamo parcheggiato il motorino vicino al Bar Centrale e siamo entrati dalla porta dietro e abbiamo sparato. Prima ho sparato io e poi Franco che è caduto a terra». Aloe sostiene che il commando aveva due pistole, consegnate da Castellano e Sestito, e ricorda ancora che indossava un paio di scarpe da tennis blu nuove».

E dopo i funerali, «Cenzo Rispoli, Pino Sestito, Ciccio Castellano mi hanno dato un premio, mi hanno dato la terza». Il riferimento è a una dote di ‘ndrangheta, quello dello sgarro. Un regalo, la possibilità di vendicare il padre, e un premio, l’ammissione formale nella complessa struttura della ‘ndrangheta con un grado alto. «Prima, seconda e terza subito». La cerimonia avvenne in un bar ma il gruppo sarebbe stato raggiunto da Marincola, che era con dei “ragazzi” di Isola Capo Rizzuto. «E nente, m’ha abbrazzatu».

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