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Il porto di Gioia Tauro

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Le zone franche e la scommessa di Occhiuto da Dubai ferma due anni dopo, il retroporto di Gioia Tauro in preda alla desolazione

GIOIA TAURO – C’è un mondo industriale dietro il porto di Gioia Tauro? Sì, ed è fatto di capannoni chiusi, vuoti, senza vita, senza progetti senza piani di rilancio. Scatole vuote abbandonate a sé stesse. Aree depresse da decenni dove si invoca un miracolo che tarda arrivare. Eppure, il retroporto di Gioia Tauro è la zona con più appeal di prospettiva della Calabria e non solo. Davanti a quelle aree continuano ad operare le gigantesche gru del porto di transhipment più grande del paese, gru e carrelli che macinano milioni di container ogni anno, che arrivano e ripartono senza lasciare nulla se non un magone che attanaglia il cuore e la testa di chi ha sempre creduto che da queste parti, quella merce che transita ogni giorno potrebbe in parte fermarsi, essere lavorata creando economia vera e sana. Il sogno per tanto tempo si è trasformato in incubi veri e propri frutto dell’insipienza di chi governa certi processi. E mai incubo fu così lungo nel tempo.

L’UNICITÀ DEL RETROPORTO DI GIOIA TAURO

I porti storici italiani come si sa, sono nati davanti alle città ed hanno quasi subito risentito, nell’era della logistica moderna, della mancanza di spazi dietro le banchine. A Gioia Tauro è successo il contrario, una botta di fortuna che nessuno aveva calcolato bene. Venne costruito il porto che doveva servire come infrastruttura dell’allora già fallito V° Centro Siderurgico e poi quasi come una sorta di gioco del destino a circa 15 anni dal suo completamento venne adibito ad hub di transhipment. Uno scalo che si è trovato dietro quasi mille ettari di aree industriali strappate agli agrumeti fertili degli anni ’70. Una parte sono state utilizzate per i piazzali delle attività portuali, gli altri restano lì come un deserto senz’acqua, arido e senza vita.

SUL RETROPORTO DI GIOIA TAURO SOLO PAROLE DA QUASI 30 ANNI

Parole, impegni e tanti intrighi il quel retro porto, unico in Italia. Tanto che viene da pensare che esiste una sorta di regia occulta a non far nulla per non disturbare altre aree di interesse, dove la politica e le lobby affaristiche hanno i veri interessi. Gioia Tauro potrebbe esplodere perché la sua posizione baricentrica nel Mediterraneo sull’asse Suez – Gibilterra e la circostanza che trovandosi sulla terra ferma potrebbe attivare collegamenti intermodali strategici per trasportare la merce nel cuore dell’Europa nel minor tempo e al minor costo possibile attaccando direttamente i distretti della logistica del nord Itali e del nord Europa.

Una posizione geografica che fa paura? Allora, il dubbio che possa esserci uno strano gioco a rallentare gli investimenti necessari sull’ammodernamento ferroviario, diventa quasi certezza. Così come diventa quasi certezza che di Gioia Tauro si parli sono in maniera strumentale solo per favorire progetti che non guardano al contesto generale per realizzare veramente ciò che sarebbe utile. Un esempio? Si parla spesso di sviluppare la filiera dell’agroindustria e la piastra del freddo solo se si dovesse realizzare il grande rigassificatore, come non esistessero alternative che pure esistono. Come se non ci fossero alternativi alle frigorie liberate dal processo di rigassificazione come incentivo agli investimenti.

LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

Nell’area del retro porto con l’istituzione della Zes sono stati individuati ben 607 ettari sui 2.444,53 complessivi della Zes Calabria. Ma per fare cosa nessuno ancora lo ha spiegato. Nessuno ha progettato nulla. Non esistono piani alternativi. Nessuno sa come intervenire, nessuno sa come modernizzare l’area, chi la dovrà gestire e chi promuoverla. Insomma, non c’è un piano degno di tale nome. Ne chi dovrà farlo. La proprietà e del Corap posto in via di liquidazione dalla Regione ma quell’area fa parte della Zes, il cui commissario per quanto bravo e, secondo qualcuno in conflitto di interessi visto il suo ruolo anche in Campania, si è specializzato solo negli aspetti autorizzativi formali per gli insediamenti futuri.

Ma se un imprenditore volesse investire nel retro porto di Gioia Tauro e viene a visitare quell’immensa area cosa trova? Un posto abbandonato, senza sicurezza alcuna, esposto ai controlli schiaccianti delle famiglie di vertice della ’ndrangheta a cui niente sfugge. Trova erbacce, strade dissestate, pali della luce divelti, capannoni sventrati, tendopoli per immigrati.

EPPURE, ANCHE OCCHIUTO AVEVA SCOMMESSO MA ADESSO TUTTO È RALLENTATO

Se si riprendono le affermazioni del Presidente Occhiuto all’Expo di Dubai, il suo entusiasmo a descrivere il ruolo e le potenzialità di Gioia Tauro, fu enorme. Da allora sono passati quasi due anni e tutto è rimasto come prima. Ricordo le parole imponenti dei suoi predecessori, tutti a bravi a parole ad illustrare come il futuro della Calabria dovesse partire proprio da quell’area, senza però far nulla. Senza far partire un progetto, un’idea concreta degna di tale nome. Senza mettere su un gruppo di lavoro serio che decidesse come gestire quelle aree, cosa farne, a chi affidarle, visto che il Corap è in liquidazione.

Per capire chi fa cosa. Dall’insediamento di Occhiuto è passato troppo tempo per non lanciare l’allarme che anche in questa legislatura regionale di sprecheranno solo parole. Ma si può veramente pensare che per lanciare la Zes, basta essere pronti con l’ufficio unico delle autorizzazioni? Basta, vantarsi che in soli 5 giorni si danno le autorizzazioni a realizzare i progetti industriali senza mettere ordine in quei 607 ettari nel retro porto di Gioia Tauro inseriti nella Zes dove non esiste un solo metro lineare di recinzione? Eppure, la Zes Calabria ha il suo piano strategico, almeno sulla carta, ma mai nessuno ha ancora stabilito chi lo deve attuare.

CHE FINE HA FATTO LA ZONA FRANCA INTERCLUSA?

Nelle Zes possono essere istituite zone franche doganali intercluse ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione, e dei relativi atti di delega e di esecuzione. La perimetrazione di dette zone franche doganali, il cui piano strategico sia stato presentato dalle regioni proponenti entro l’anno 2019, è proposta da ciascun Comitato di indirizzo entro il 31 dicembre 2020 ed è approvata con determinazione del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, da adottare entro sessanta giorni dalla proposta.” Quei termini sono stati poi prorogati ma non si sa se la richiesta sia stata avanzata. Un’altra occasione perduta?

LA SEDE DELLA ZES SPOSTATA ANCORA UNA VOLTA?

Il Piano Strategico della Zes Calabria chiarisce un aspetto non secondario: «La Zes della Calabria, ai sensi del Dl 91/2017 e del Reg. Ue 1315/2013, è incentrata sul porto Core di Gioia Tauro ed è integrata con ulteriori aree della Calabria, a Gioia Tauro connesse sia da un punto di vista economico funzionale sia infrastrutturale, allo stato attuale o in quello di scenario tattico o strategico».

Nessun accenno nemmeno in questi mesi di gestione del Commissario Romano dove intende realizzare e il cuore, la cabina di regia, il punto centrale della sua azione. Lo si è visto molto lavorare anch’esso su Lamezia e da parte sua non si è ancora sentito affermare che la Zes calabrese ha il proprio baricentro a Gioia Tauro con il porto più grande d’Italia da sfruttare come attrattore di investimenti e di strategie industriali e soprattutto con le potenzialità da utilizzare nel suo unico retro porto dove insiste l’area industriale più grande della Calabria. Un’area che è caduta nel dimenticatoio delle competenze e con un futuro che definire incerto sarebbe solo un eufemismo.

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