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Ignazio Visco

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Abbiamo invertito positivamente tutti gli indicatori economici del Paese, ma non lo diciamo o passiamo il tempo a presagire tutte le nuvole del mondo che dovrebbero cadere sulla nostra economia dal cielo italiano. Salvo poi scoprire che gli acquazzoni cadono ovunque meno che in casa nostra. Per almeno un ventennio siamo stati un Paese dove cresceva solo il debito pubblico, ora invece a crescere – anzi a correre – sono i consumi, gli investimenti, il prodotto interno lordo.

Addirittura le previsioni al rialzo della nostra economia dello 0,5% congiunturale e dell’1,8% tendenziale nel primo trimestre dell’anno vengono corrette ulteriormente in meglio dall’Istat passando rispettivamente allo 0,6 e all’1,9%. Conquistando in questo trimestre il podio assoluto della crescita dopo due anni e mezzo che marciamo, secondo i dati della Commissione Europea a consuntivo 2021 e 2022 e previsionali per il 2023, verso un 12,3% di crescita complessiva.

Un livello nettamente superiore alle grandi economie europee e a Cina e Stati Uniti corroborato da questi ultimi dati di inizio anno, ma presumibilmente da risultare ancora una volta errati per difetto a consuntivo. Visto che dai segnali sul secondo trimestre appare ragionevole ipotizzare una crescita del 2023 di almeno l’1,5% contro la previsione europea dell’1,2%. Questa rettifica al rialzo dell’Istat è il segno più evidente di uno smacco continuo per i gufi italiani e i loro centri studi che hanno il dovere di cambiare in corsa il loro modello, ieri perfino Moody’s ha corretto migliorandole le previsioni sull’Italia mentre inflazione e spread scendono ancora.

Soprattutto la rettifica dell’Istat conferma, come questo giornale sostiene da tempi non sospetti, che siamo nel pieno del nuovo miracolo economico italiano. Anche perché questa ulteriore crescita è fatta dai consumi delle famiglie e dagli investimenti in macchinari superiori a quelli in edilizia residenziale, da un desiderio di Italia nel mondo che traina turismo e servizi che solo chi ha gli occhi foderati di prosciutto, quasi tutti purtroppo, si può ostinare a non vedere. Ho fatto questa lunga premessa per dirvi che ai miei occhi il merito principale delle Considerazioni finali di Ignazio Visco di ieri è la solennità con cui ha sottolineato che “la rinnovata vitalità del sistema economico si è manifestata nella robusta espansione delle esportazioni e nella forte ripresa dell’accumulazione di capitale”.

Non si è limitato Visco a dire una cosa importante, che masochisticamente nessuno in Italia vuole dire, ma ha dato i numeri che sostengono ciò che dice: dal quarto trimestre del 2019 le vendite all’estero di beni sono aumentate in volume dell’11% e gli investimenti sono cresciuti di oltre il 20%. Questo ha detto il Governatore chiarendo che sono risultati superiori a quelli degli altri grandi Paesi europei.

C’è di più: tra il 2007 e il 2019, in controtendenza rispetto alla media dell’area dell’euro, il debito delle imprese italiane è sceso di 7 punti e anche le famiglie hanno mantenuto un livello di indebitamento complessivamente basso. Così l’economia italiana ha dimostrato una vitalità superiore alle altre grandi economie europee alle prese con la doppia crisi pandemica e quella delle materie prime causata dai carri armati russi in Ucraina.

Queste parole di verità di Visco suggellano un doppio mandato pesante di un grande Governatore della Banca d’Italia che ha servito con onore la più “speciale” delle istituzioni italiane prima durante gli strascichi della grande crisi finanziaria e della grande crisi dei debiti sovrani poi con la doppia crisi globale non ancora finita. Da qui si muovono correttamente le altre due segnalazioni strategiche di queste Considerazioni. La prima riguarda le catene globali del valore entrate in crisi con la pandemia e l’esigenza sottolineata che gli scambi mondiali non scendano con ruolo pieno di Cina e Stati Uniti soprattutto per un Paese esportatore molto vitale qual è quello italiano.

La seconda invece riguarda la necessità di cambiare tutto quello che è giusto cambiare con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) anche perché questa è l’occasione per consolidare il recupero del Mezzogiorno e i nostri gap europei su donne e giovani che a loro volta riguardano sempre il Mezzogiorno in modo preminente. Queste due segnalazioni noi le prendiamo come la spinta del Governatore a consolidare la nostra formidabile ripresa e riteniamo che entrambe siano ben presenti a chi fa e bene nel governo Meloni. Questo giornale sostiene tale lavoro in modo trasparente e senza riserve.

C’è un altro dato di Visco che aiuta a capire la portata del fenomeno sul primo punto: in soli tre anni dal 2019 a oggi le persone in età di lavoro (da 15 a 64 anni) sono diminuite in Italia di 800 mila unità e da qui al 2040 caleranno di oltre 6 milioni. Su questo punto, intanto, per prima cosa vogliamo sottolineare che se abbiamo fatto in economia meglio di tutti al mondo con 800 mila persone in meno in età di lavoro, vuol dire che abbiamo davvero imprese più capitalizzate e più innovatrici e che il potere di acquisto delle famiglie è superiore a quello che si racconta. Secondo, che la risposta al problema è immigrazione di qualità – ingegneri, medici, imprenditori, specialisti – seguendo il modello americano e tedesco e collocandola dentro la scelta strategica che prende atto che il mondo si è capovolto, che il nuovo Nord è il Sud e che Napoli è la Capitale del nuovo Mediterraneo avendo l’intelligenza di portare sviluppo in Nord Africa e ricevendo in dote materie prime, terre rare, industria di qualità. Un Mediterraneo che dovrà esprimere una classe dirigente all’altezza e una potenza di fuoco energetica e di nuova manifattura che sono la base dell’unica crescita aggiuntiva europea ancora possibile.

Questi temi caratterizzano la grande battaglia del nostro giornale lanciata con il primo festival Euromediterraneo dell’economia. Sul secondo punto la spinta di Visco è riflessa totalmente, a nostro avviso, nella rivoluzione di governance e di scelte strategiche operata dal ministro Fitto. Che esprime la forza di una scelta politica di competenza del governo Meloni, ma soprattutto esprime il coraggio politico personale di avere detto per la prima volta come stanno le cose in Italia nella capacità di attuare gli investimenti pubblici e di averlo fatto, da un lato, attraverso una interlocuzione costante e positiva con le istituzioni europee e, dall’altro, ponendo Regioni e ministeri di fronte alle loro responsabilità per avviare una stagione nuova di lungo periodo che non significa centralizzazione ma responsabilizzazione. Questa rivoluzione collettiva merita l’incoraggiamento e il sostegno di tutti perché con essa si mettono in gioco il futuro dell’Italia e la costruzione della nuova Europa della solidarietà. Non facciamo scherzi per piacere e, soprattutto, non facciamolo per giochetti di bottega. Non è proprio il caso.


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