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Dalle istituzioni numerosi i “no” all’autonomia differenziata: da Bankitalia alla Corte dei conti, dalla Cei a Confindustria e al servizio Bilancio del Senato emergono critiche e perplessità sul progetto

Sono così tanti i “no” all’autonomia differenziata che si fa fatica a contarli: da Bankitalia alla Corte dei conti, passando persino da un documento-bozza firmato dal servizio Bilancio del Senato che ha sollevato dubbi sulla bontà del progetto. E poi ci sono le perplessità di Confindustria, della Cei, della fondazione Gimbe, solo per citarne qualcuna.

Andiamo con ordine. È «esigenza primaria assicurare la copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi e i livelli essenziali delle prestazioni in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale» è stato il monito che la Corte dei conti ha evidenziato in una relazione sull’attuazione dell’autonomia differenziata trasmessa alla Commissione parlamentare di studio.

Autonomia differenziata, il parere della Corte dei Conti

Secondo i magistrati contabili «l’attribuzione di ulteriori funzioni e competenze dovrebbe essere riconosciuta alle Regioni laddove si dimostrino in grado di esercitarle meglio rispetto all’attuale livello di efficienza operativa dello Stato», in quanto il processo «si fonda sul principio di sussidiarietà, nella prospettiva che l’ente più vicino alla popolazione sia in grado di meglio soddisfarne le esigenze».

Sono questi i presupposti a partire dai quali la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti ha sviluppato le proprie valutazioni. I magistrati contabili citano anche la Corte costituzionale e una sentenza del 2014: «Secondo la Corte costituzionale – si legge – la tutela dell’unità economica della Repubblica giustifica un governo unitario della finanza pubblica e controlli esterni sugli enti territoriali al fine di evitare tensioni sugli equilibri di bilancio. Ne consegue come la richiesta di autonomia differenziata postuli quale corollario l’adozione di idonei strumenti di monitoraggio e di rendicontazione».

I magistrati contabili evidenziano che è «da considerare che nelle Regioni le basi di funzionamento di tale modello attendono ancora di essere poste, mancando la definizione dei costi e fabbisogni standard e che, in assenza di tale quadro di riferimento, è difficile presidiare un percorso che incide sulla complessiva funzionalità del sistema».

Le criticità del servizio Bilancio del Senato

«Le Regioni più povere ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive»: questa è, invece, solo una delle criticità che il servizio Bilancio del Senato ha sollevato sulla bontà del progetto di Autonomia differenziata di stampo leghista. Una bozza non definitiva circolata nelle settimane scorse, certo, ma la stroncatura è netta.

Dal testo emerge il rischio reale di spaccare ulteriormente il Paese: la riforma, trasferendo alle Regioni più ricche un consistente numero di funzioni, finirebbe per dividere il Paese. Una sorta di secessione. Il servizio Bilancio, per esempio, analizzando l’articolo 5, quello che riguarda i “Princìpi relativi all’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento”, sottolinea diversi problemi: «Le risorse attribuite mediante compartecipazione – è scritto – sono influenzate dal gettito del tributo erariale, che a sua volta dipende dal ciclo economico che caratterizza in un dato momento il Paese. In una fase avversa dell’economia è lecito aspettarsi una riduzione del gettito del tributo erariale e una riduzione delle risorse da compartecipazione in assenza di una sua rideterminazione».

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Bankitalia: “Sull’autonomia differenziata procedere con gradualità”

Anche Bankitalia ha invitato a procedere «con la necessaria gradualità» sulla strada dell’autonomia differenziata, «diversamente, vi sarebbe il rischio di innescare processi difficilmente reversibili e dagli esiti incerti». È quanto si leggeva nella memoria depositata presso la commissione Affari costituzionali del Senato. Via Nazionale chiedeva «di valutare attentamente tutte le implicazioni dell’attuazione dell’autonomia differenziata».

Va poi sottolineato che «un assetto istituzionale estremamente differenziato potrebbe risultare poco trasparente per i cittadini, accrescendo i costi di coordinamento e indebolendo l’accountability dei diversi livelli di governo». Via Nazionale, pur riconoscendo che nel complesso la proposta «contribuisce a dare una cornice più ordinata e coerente al processo di autonomia differenziata», ha avvertito che il disegno di legge «trascura tuttavia alcuni aspetti rilevanti».

L’elenco delle criticità individuate dall’istituto parte da un assunto: «L’attuazione dell’autonomia differenziata non deve mettere a repentaglio l’efficienza del sistema produttivo e la sua capacità competitiva; i vantaggi derivanti dallo stimolo a una maggiore concorrenza tra le varie aree del Paese devono essere superiori ai costi impliciti di una marcata differenziazione normativa».

«In secondo luogo – prosegue la Banca centrale – per preservare gli equilibri di finanza pubblica e assicurare che l’intero Paese contribuisca al consolidamento dei conti, occorre garantire nel medio periodo l’allineamento fra le risorse erariali assegnate e l’evoluzione dei fabbisogni di spesa nelle funzioni trasferite».

Le perplessità di Confindustria, Cei e Gimbe

Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è sul fronte degli scettici ma dialoganti, mentre la Cei esprime timori: «Come Pastore sono molto preoccupato perché ritengo che l’articolato di legge sull’Autonomia differenziata impoverisca sempre più il Sud e la nostra bella, ma sfigurata, Calabria», ha affermato un paio di settimane fa monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei e vescovo di Cassano allo Ionio.

Il progetto leghista potrebbe anche finire per dare il colpo di grazia alla sanità, settore che assorbe il 90 per cento dei bilanci delle Regioni ma che viaggia già a due velocità diverse tra Nord e Sud. A fornire la “prova” è un report elaborato dalla fondazione Gimbe per rilevare i possibili effetti della riforma Calderoli: dall’aumento della mobilità passiva per il Mezzogiorno all’ulteriore fuga dei medici dagli ospedali del Sud, attratti da stipendi maggiori al Nord. Senza la garanzia di fondi per riequilibrare la situazione, i sistemi sanitari regionali del Mezzogiorno sono destinati ad affondare.

Mobilità sanitaria, regioni del Nord più attrattive

Capitolo mobilità sanitaria: l’analisi conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019 tredici Regioni, quasi tutte del Centro-Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+3,35 miliardi), Toscana (+1,34 miliardi), Veneto (+1,14 miliardi).

Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a un miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-2,94 miliardi), Calabria (-2,71 miliardi), Lazio (-2,19 miliardi), Sicilia (-2 miliardi) e Puglia (-1,84 miliardi).


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