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Una seduta della Conferenza Stato-Regioni

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SONO uno dei pochi che con una sistematicità quasi mensile ho sempre ricordato il fallimento di un provvedimento prodotto dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni; mi riferisco al Decreto Legge n. 91 del 20 giugno 2017; un Decreto Legge che aveva previsto e disciplinato la possibilità di istituire nelle aree delle Regioni, individuate dalla normativa europea come “meno sviluppate” ed “in transizione”, che includano almeno un’area portuale compresa nella rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), Zone economiche speciali (ZES), che consentissero lo sviluppo delle imprese ivi operanti, nonché l’insediamento di nuove imprese (soprattutto al Sud) mediante la creazione di condizioni più favorevoli in termini economici, finanziari ed amministrativi.

La definizione di “fallimento” più volte da me ribadita non era legata al contenuto della norma ma alla articolazione delle procedure attuative; procedure che, presenti in un Decreto Legge e quindi in un provvedimento che conteneva al suo interno la condizione basilare della “urgenza”, dopo sei anni avevano prodotto, nel migliore dei casi, nomine di Commissari, sottoscrizioni di protocolli di intesa, fattibilità progettuali, elencazioni di ipotesi di intervento, cioè in termini di ricaduta reale, in termini di misurabile concretezza realizzativa, praticamente nulla. E, sempre nel mio sistematico elenco delle negatività del provvedimento che, concepito nelle linee generali dal Governo Gentiloni aveva poi subito una serie di modifiche dai successivi Governi Conte I e Conte II, avevo anche effettuato, più di un anno fa, degli approfondimenti che ritengo utile riportare ancora una volta su alcune realtà regionali. Scelsi in particolare il caso Sicilia: in Sicilia, entro il 2021 si sarebbero istituite e rese operative due ZES, per un totale di 5.118 ettari in 43 aree dichiarate idonee dalla apposita Commissione di valutazione.

Le aree individuate avrebbero goduto di importanti benefici fiscali e semplificazioni amministrative, capaci di attrarre anche investimenti dall’estero. Le aree scelte per le Zes erano:

  • ZES Sicilia occidentale con i comuni di Caltavuturo, Palma di Montechiaro, Misilmeri, Salemi, Campofelice di Roccella, Custonaci, Ravanusa, Calatafimi, Cinisi, Gibellina e Serradifalco
  • ZES Sicilia orientale con i comuni di Avola, Militello in Val di Catania, Carlentini, Vittoria, Francofonte, Solarino, Scordia, Floridia, Vizzini, Acireale, Rosolini, Pachino, Troina, Lentini, Palazzolo Acreide, Ragusa, Niscemi, Gela, Mineo e Messina
  • ZES Sicilia altre aree individuate sono tre aree portuali (Porto Empedocle. Porto dell’Arenella di Palermo, Porto di Augusta) e due aree industriali (Consorzio ASI di Caltagirone e la zona di San Cataldo Scalo insieme alla zona industriale di Calderaro nel Comune di Caltanissetta

Nella sola Sicilia erano state identificate ben 43 aree elette a ZES, in tutta la Unione Europea le aree elette a ZES erano solo 91. Già questo dato dimostrava, ribadivo nella mia nota di oltre un anno fa, la completa deformazione del concetto ispiratore delle stesse ZES e, al tempo stesso, rendeva davvero priva di organicità e di immediata incisività l’azione stessa dello strumento. Ricordai inoltre che il criterio generale, secondo le norme europee per la concessione di aiuti alle aree ZES, comprendeva le circostanze secondo le quali le agevolazioni da concedere in determinate Regioni potessero essere riconosciute solo:

  • Per la creazione di un nuovo stabilimento o per l’ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente;
  • Per la diversificazione della produzione di uno stabilimento esistente per ottenere prodotti mai fabbricati prima;
  • Per un cambiamento fondamentale del processo di produzione complessivo di uno stabilimento esistente. Inoltre, il richiedente doveva contribuire con fondi propri per almeno il 25% dei costi ammissibili dell’investimento.

Quindi, nella mia nota, ribadii che una simile iniziativa non la ritenevo adeguata se contestualmente, come indicato dalla allora Ministra Carfagna, non avesse preso corpo una organica implementazione ed un misurabile sviluppo dei sistemi intermodali composti da porti-retroporti-interporti, insieme con gli aeroporti, le piattaforme logistiche e gli altri hub. Secondo la Ministra la chiave del funzionamento delle Zone Economiche Speciali era legata a questa azione contestuale. Quindi ebbi modo di ribadire che le ZES, soprattutto al Sud, avrebbero funzionato solo in presenza di una collaborazione tra il decisore politico, l’industria e le parti sociali, solo se tutte le azioni non fossero state frantumate nelle otto Regioni del Mezzogiorno ma fossero state scelte dalle otto Regioni unite in un vero assetto federale.

A tale proposito ricordai che agli inizi del 2021 l’ex Ministro Claudio Signorile aveva prospettato la costituzione di una federazione delle Regione del Sud mirata proprio a definire e gestire programmaticamente scelte che, anche se ubicate in una determinata realtà regionale, producessero vantaggi in aree e in realtà regionali diverse e questa visione organica e priva di logiche provinciali poteva, a mio avviso, prendere corpo solo affrontando e gestendo la unica Zona Economica Speciale che, senza ancora averlo capito, chiamavamo e chiamiamo “Mezzogiorno”. Va precisato che non nasceva una macro Regione, che non si intendeva incrinare con una simile proposta la Costituzione, ma sulla base dell’art. 117 penultimo comma della Costituzione si rendeva possibile la strada delle intese tra più Regioni “per il migliore esercizio delle proprie funzioni”, anche creando “organi comuni”. In sostanza, precisava Signorile, si tratterebbe di avviare in tutto il Paese quel processo di federalizzazione.

Tornando alle ZES definite dal richiamato Decreto Legge del 2018 evidenziai, sempre un anno fa, due critiche ad una iniziativa che veniva lanciata come vincente per il rilancio del Sud e, già in partenza, a mio avviso, non adeguatamente valida sia per il numero di aree, sia per la esigenza di una rete logistica efficace ed efficiente. In merito proprio alla logistica questa andava supportata nella sua funzione di leva di competitività: le aziende italiane, soprattutto meridionali, decidevano e purtroppo decidono di aggirare le disfunzioni della logistica, determinate dalle carenze infrastrutturali, e di delegare “chiavi in mano” l’intera catena di distribuzione al compratore straniero, con la modalità cosiddetta “ex works”. Il risultato: il nostro tessuto produttivo perdeva il controllo della supply chain, cioè ella intera catena della produzione e della distribuzione con esiti penalizzanti sulle politiche di prezzo.

Ebbene, concludevo la mia nota precisando che mi spiaceva essere ancora una volta critico ma questa continua ricerca programmatica, questa continua modalità di “approfondire” tematiche note e fino ad allora affrontate solo in modo teorico, non era più condivisibile. Bisognava compiere un vero atto di umiltà: imitare le esperienze effettuate dagli altri Paesi della Unione Europea e cercare di imitare quelle ZES realizzate negli altri Sud di Europa, cioè gestire l’intero sistema in modo organico, cioè da parte delle otto Regioni coscienti di essere un unico soggetto responsabile; continuare a inseguire protocolli e modifiche alla norma avrebbe prodotto solo la crescita di una sola Regione quella del Nord e, cosa grave per il Paese, si sarebbe consentita la crescita, come ripeto sempre, del Prodotto Esterno Lordo (PEL) e non del Prodotto Interno Lordo (PIL). Pochi giorni fa la Commissione Europea ha dato il via libera alla creazione di una ZES unica per le Regioni del Sud. Il Ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha incontrato a Bruxelles la responsabile della Concorrenza, Margareth Vestager, per presentare la proposta italiana di istituire un’unica Zona economica speciale per l’intero Sud superando le attuali otto zone economiche speciali. Vestager ha accolto favorevolmente la proposta, fa sapere il Ministero.

Il Ministro Fitto ha ribadito: “La ZES Unica rappresenta un’importante opportunità di sviluppo e di attrazione degli investimenti che, insieme all’utilizzo efficace delle risorse europee e nazionali, può rendere il Mezzogiorno d’Italia un riferimento importante non solo del nostro ma di tutto il continente europeo. Si tratta di un vero e proprio volano decisivo per l’economia del Sud capace di segnare una svolta per il rilancio anche in termini di rinnovata centralità dell’intera area”. Sono soddisfatto non perché questa obbligata conclusione era stata prospettata dopo la oggettiva analisi sulle assurde caratteristiche delle modalità con cui si erano identificate le ZES, ma perché penso sia finita la ridicola susseguenza con cui abbiamo, quasi mensilmente, annunciato l’avvio di investimenti, di scelte strategiche, di Memorandum of Understanding, di convegni e forse finalmente, dopo sei anni di vuoto, prenderà corpo un misurabile processo di rilancio di poche ma difendibili Zone Economiche Speciali.

Ora tocca alle Regioni del Sud dimostrare il loro motivato convincimento a non difendere in modo pregiudiziale convenienze localistiche e penso che questo convincimento possa emergere proprio dal fallimento di una scelta, quella del DL sulle ZES, nata per rilanciare il Sud e che poi è immediatamente stata annullata da un preciso codice comportamentale che si caratterizza come “pura clientela programmatoria” o in modo più chiaro come “la gratuita soddisfazione dell’organo politico solo nella elencazione delle risorse ottenute, nella elencazione degli impegni assunti, della certezza dei risultati solo annunciati”. Forse con la decisone assunta sulla ZES Unica prende corpo un primo cambiamento metodologico di quello che come detto prima continuiamo a chiamare Mezzogiorno senza conoscerne le reali potenzialità di crescita e di sviluppo.


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