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Roberto Fitto - Foto governo.it

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Sui vecchi progetti messi dentro alla rinfusa dalle Regioni contro il dissesto idrogeologico a oggi non si è speso un euro, ma si pretende che restino nel Pnrr impegnandosi a rendicontare l’impossibile entro giugno 2026. 40 mila progetti di ringhiere e ascensori dei piccoli Comuni sono inammissibili. Vanno cambiate oggi per domani le casse di finanziamento dei progetti dalla quinta alla decima rata e fare bollare preventivamente tutto dall’Europa usando le risorse giuste. Così Regioni e Comuni si salvano e l’Italia mantiene la sua credibilità

I Presidenti di Regioni leggono due paginette sulle quali i funzionari scrivono quattro cose. Leggono senza sapere quello che leggono. La prova più evidente è uno dei piatti forti della speculazione politica in atto e riguarda fondi e progetti contro il dissesto idrogeologico. L’accusa politica è: salta tutto giorno dopo giorno e voi togliete proprio questi interventi da quelli finanziati con il Pnrr? Ora, chiariamoci: sono progetti del 2010, del 2014, del 2016 messi dentro alla rinfusa per riempire le caselle del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e a metà agosto passato del 2023 queste amministrazioni regionali che protestano non hanno speso un euro bucato su progetti loro di dieci anni fa.

Mettetevi nei panni del ministro Fitto. Con quale faccia potrà garantire che questi stessi progetti verranno realizzati entro giugno 2026 e, quando si verificherà come si verificherà che a quella data i soldi o non sono stati spesi o non sono rendicontabili, chi restituisce all’Europa quello che l’Italia avrebbe nel frattempo avuto indebitamente? Chi paga gli interessi che sono stati collocati sul bilancio pubblico e legati a quelle stesse rate? Ovviamente li paghiamo tutti noi contribuenti. Siamo seri, per piacere!

È evidente che bisogna trasferire tutto sul fondo coesione e sviluppo o sulla coesione cofinanziata o sul fondo complementare. È un po’ la litania dei sei miliardi per le piccole opere che gli amministratori urlano di avere perso ignorando che gli enti locali sono 6 mila, che i progetti sono quasi 40 mila e sono tutti piccoli progetti tipo stadio di Firenze dichiarato inammissibile. Siamo pieni di ringhiere e di ascensori che verrebbero depennati da Bruxelles con un tratto di penna in meno di 30 secondi e sarebbero soldi persi per sempre. Si possono salvare solo mettendoli su altri capitoli europei e nazionali di finanziamento.

Serve un cambio totale di regia e di impiego delle risorse europee su coesione e sviluppo, coesione nazionale e regionale tenendo conto che in alcuni casi si applica il 40 e il 60 che fanno 100 e in altri casi il 20 (Nord) e 80 (il Sud) che sempre 100 fanno. Le strutture di Fitto avrebbero già tutto pronto per indicare i progetti giusti su cui impegnare il 40% prenotato, ma bisogna tenere conto dei vincoli 80/20% che riguardano gli altri fondi e, quindi, dopo si può e si deve procedere congiuntamente a un riparto regionale delle risorse nazionali.

Si può e si deve procedere al riparto territoriale e ministeriale dei fondi vincolati in modo finalmente cumulato e contemporaneo che chiami tutti alle proprie responsabilità e impedisca di continuare a perdere quattrini europei. Soprattutto consenta finalmente di tenere al centro il Sud che è il motivo per cui ci danno tutti questi soldi europei. Un solo esempio: bisogna valutare l’aumento del 30% dei costi delle materie prime per i progetti delle case di comunità del 2018 o fare finta che va tutto bene per constatare che poi mancano i soldi per fare le opere?

Diciamo le cose come stanno. Con il nuovo metodo Fitto che fa precedere tutto da un’interlocuzione tecnica preventiva europea, il governo Meloni è riuscito a superare il primo grande trappolone che avrebbe portato a perdere i 35 miliardi del 2023 che sarebbe stata una tragedia per il nostro fabbisogno pubblico già messo a dura prova dall’aumento della spesa per interessi sul debito e per la contingenza riconosciuta ai pensionati. La prima rata arriva a fine settembre, la seconda arriverà tra novembre e dicembre perché l’operazione verità è stata compiuta e l’Europa ha apprezzato.

Ora Fitto deve scansare il secondo grande trappolone che è quello di ritrovarsi nel 2024 con le modifiche approvate sulla quinta rata e fino alla decima di giugno 2026 evitando di trovarsi nell’imbarazzante situazione di non potere poi rendicontare ciò che si è promesso oggi su tutto. Sui piccoli progetti come sui piani urbani integrati dove i ritardi arrivano a volte fino al 92% se si escludono 2 degli 11,5 miliardi negoziati. Per cui cambiare la cassa di finanziamento, farlo in continuità, attraverso Fsc, coesione nazionale e comunitaria, risorse del Fondo Complementare, e fare sigillare tutto oggi per domani dal bollo europeo, significa salvare davvero i progetti di rigenerazione urbana delle grandi e piccole città italiane e centrare i progetti strategici energetici e di sostegno fiscale a imprese e famiglie che consentono di fare per davvero del Mezzogiorno il grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo.

Questo serve al governo Meloni per scansare il secondo grande trappolone e garantire all’Europa e all’Italia un tasso di crescita in linea con gli ultimi due anni. Quello che nessuno dice è che Draghi e Franco avrebbero fatto le stesse cose magari mantenendo al centro sul piano operativo il ministero dell’Economia (Mef), magari cambiando giorno dopo giorno senza attirare troppe attenzioni internazionali. Ben sapendo, però, loro che fu fatto tutto in fretta perché l’eredità raccolta non era frutto di una vera regia e i tempi di azione per riorganizzare e sistematizzare erano strettissimi.

Con l’alta velocità ferroviaria al Sud furono Draghi e Franco a decidere di usare il Fondo complementare e non il Pnrr come voleva il ministro Giovannini che era lo stesso che aveva scambiato uno studio di fattibilità per un progetto esecutivo neppure di massima esponendo il governo stesso a una brutta figura in Parlamento. Bisogna capire che i cambiamenti vanno fatti e concordati prima con il massimo di ragionevolezza, perché la filosofia di dire “va tutto bene” e poi va tutto male porta a sbattere contro il muro. Meglio fermarsi un attimo prima.


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