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Michela Murgia in una delle ultime uscite pubbliche

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L’ITALIA è ormai un condensato di odio. Odiare, aggredire, calpestare hanno sostituito, abrogandoli, i verbi pensare, costruire, accogliere. Moltissimi tra coloro che si sperticano al grido di “pace” sono spesso, in contemporanea, specialisti, a ciascun livello, in ciascuna occasione, del livore quotidiano, della rabbia, del vomitare senza bacinella. Sporcano dappertutto, ammorbano l’aria di follia. Perché è squilibrio mentale conclamato insistere per esempio nell’attribuire colpe alle donne delle violenze che subiscono. È odio, questo. C’è poco da fare a questo punto: tu odi – noi odiamo, perché sono tanti a esserne convinti – se persisti nell’affermare che indossando una minigonna, oppure ballando, bevendo, o semplicemente tornando a casa da sole il lupo sarà autorizzato a farti del male. Non sei sano di mente, fingi, fingi di dedicarti con dispiacere a un caso di stupro, come quello in Sicilia, come tutti i casi di stupro, per affermare abominevoli cliché. Che sia parlando a milioni di telespettatori, che al bar o sui social, chi fa questo tira fuori dal sacco dell’animo avariato antichi terrori.

Da ominicchi perenni quali siamo, abbiamo davanti la visione di un mondo dominato dalle donne, chissà, atterriti e ridicoli allo stesso modo dei Galli di Asterix quando temono che il cielo gli caschi sulla testa. Nessuno, poi, cosa forse altrettanto difficile da digerire, che abbia alzato la mano per chiarire a quei galli che sarebbe ora anche di finirla col modello raccapricciante di un uomo che è, che dev’essere, per statuto, in quanto maschio, soltanto e sempre lupo, cacciatore, predatore. Senza parlare dell’effetto ghigliottina contro quei sette disgraziati siciliani, peraltro già suicidatisi nello stesso istante in cui abusavano di quella povera ragazza. Guardiamoli in faccia: scrutando meglio, aprendo bene gli occhi, ci si potrà riconoscere. E siamo branco, belve assetate di sangue, per rendere l’idea come quelle che combatte Will Smith sopravvissuto in Io sono leggenda, quando auguriamo la morte violenta per questi sette, e per gli altri – tutti dirette espressioni del mondo così com’è, un mondo senza cultura, che ha insegnato negli ultimi trent’anni, Berlusconi docet, ma non lui soltanto, che nulla ha valore e tutto si può comprare e di tutti si può abusare – magari poi andando a messa leggendo evidentemente al contrario i vangeli, mettendo, così facendo, così pensando, così dichiarando, Cristo a testa in giù.

È putrefatto, questo paese, guasto, acido come un’anguria nella spazzatura. Un set di Ghotsbusters, quando si scoperchiano tombini e crateri dove erano costretti mostri adesso liberi, bramosi di dominio e anche vogliosi di terrorizzare tout court. Sulla scena di questa insopportabile estate dell’odio, dunque, allo stesso modo gli attacchi indegni contro Michela Murgia. Una immane, inammissibile ondata di livore mai vista e letta nella storia recente d’Italia. Muore di cancro una brava scrittrice, impegnata, una che ha esercitato la facoltà del pensiero costruttivo e in un deserto, l’Italia, dove ormai questo, il pensiero, si incrocia ogni mille miglia, pure spesso mal ridotto come una vecchia e cigolante stazione di servizio. Muore una donna, giovanissima, 51 anni appena della sua vita piena, che possano essere piaciute o meno le sue idee e la maniera di esporle, la sua letteratura: immediatamente si scatena contro di lei l’esercito della pazzia. Malvagi allo sbando, gang di intellettuali armate fino ai denti di disprezzo, capitanate a turno da chi non sa fare una “o” con un bicchiere, come diceva mio nonno, e chi ha appeso ai muri di casa lauree e premi letterari. Come se non attendessero altro lo hanno sparso ovunque, quest’odio. Mai stanchi, non ancora stanchi, come iene a mangiare sul cadavere di Michela, colpevole di aver approfittato – a loro dire, tra i tanti capi d’accusa – della malattia, di aver fatto la sua parte nel giochino del profitto dell’industria italiana dei libri. Un pretesto, abbondante di livore, pur di scagliare tutta la collera contro chi ha più talento.

Come Salieri con Mozart. Non era Mozart, la Murgia, nemmeno Pavese o Emily Dickinson, ma certamente ha avuto qualcosa di importante da dirci. E ha saputo farlo, soprattutto. Un partito di scemi, come direbbe Eduardo, ha odiato Michela Murgia, una marmaglia d’avvoltoi che già dal funerale ne ha ridotto a brandelli la salma. Si muore spesso due volte e per mano degli scemi, diceva ancora mio nonno. Un odio malato, disonesto, quello che mira alla fisicità per esempio, e che è emerso in tutto il suo putridume come cacca nello stagno di questo paese involuto. Una pazzia rilanciata sui social e nei bar, sulle spiagge, con la ottusissima rivendicazione di un diritto all’antipatia per questa donna che invece, con coraggio, quello che manca ai suoi odiatori, ha sputato sempre in faccia a tutti, da destra a sinistra, d’essere adepti del becero dogma patriarcale di questa Italia guasta, ridicola, dannata.

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