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Diego Armando Maradona

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Stranieri e calcio italiano, un omaggio ai campioni e alle meteore provenienti dall’estero che hanno giocato nel campionato di Serie A

C’è un momento preciso nella storia del calcio italiano in cui gli stranieri smettono di essere un bene di lusso per diventare sogno in Technicolor e simbolo di rivalsa, non solo sportiva: sabato 30 giugno 1984, Napoli è scossa da un tumulto che cresce fino a diventare slancio di passione, delirio, esplosione di gioia. Al termine di una lunghissima ed estenuante trattativa con il Barcellona, il presidente Corrado Ferlaino può annunciare al mondo l’affare del secolo: Diego Armando Maradona, la delizia del futbol, in maglia azzurra.

Il successivo bagno di folla al “San Paolo” per la presentazione del Diez è il prologo di una storia d’amore viscerale che ha attraversato le generazioni fino a confondersi con il mito e, al tempo stesso, l’incipit dell’età dell’abbondanza della Serie A. Che spende, spande e cresce a dismisura, cooptando campioni su campioni all’indomani del via libera della Federcalcio al terzo straniero dalla stagione 1988/89.

Stranieri in Serie A, negli anni 90 diventano una bolla in espansione

Milano diventa un’enclave metà olandese (Gullit, Rijkaard, Van Basten), metà tedesca (Brehme, Klinsmann, Matthäus), Roma risponde con il campione del mondo Völler e il diamante pazzo Gascoigne. Anche in provincia non manca il talento: Bierhoff all’Ascoli, Francescoli e Oliveira al Cagliari, Dunga e Junior al Pescara.

La bolla si espande ancora, sull’onda dei successi che hanno riportato il calcio italiano sul tetto d’Europa: Boban e Savicevic, Thuram e Zidane, Roberto Carlos – liquidato troppo in fretta dall’Inter – e il Fenomeno per antonomasia: Luis Nazario da Lima, in arte Ronaldo, per il quale Massimo Moratti spese poco meno di 50 miliardi di lire. Lo zenit di un’industria che si credeva inaffondabile prima della tempesta (finanziaria, ma non solo) che avrebbe inghiottito illusioni e colpi di testa, miraggi e fugaci invaghimenti. Lasciandoci in eredità solo un corposo album di figurine, rigorosamente di importazione, che riprendiamo a sfogliare con voi.

Jean-François Gillet (portiere, Belgio)

Per lungo tempo, l’esperienza, la preparazione e l’affidabilità dei portieri italiani ha sbarrato la strada ai professionisti stranieri. Il pioniere dei numeri 1 d’oltreconfine fu il brasiliano Claudio Taffarel, acquistato dal Parma nel 1990. Poi si susseguirono uomini di dubbia affidabilità (Lehmann al Milan, Van der Sar alla Juventus), personaggi bizzarri come l’argentino Romero – visto prima alla Sampdoria, poi al Venezia – e due campioni indiscussi come il milanista Dida e l’interista Julio Cesar. Alla colonia dei numeri 1 internazionali si aggiunse anche il belga Jean-François Gillet, sbarcato a Monza, in Serie B, nel 1999.

Ingaggiato l’anno seguente dal Bari, Gillet difende ininterrottamente la porta biancorossa per circa un decennio – eccezion fatta per una breve puntata a Treviso – prima di finire sotto processo per un giro di partite truccate che coinvolge molti suoi compagni di squadra. Punito dalla giustizia sportiva – ma assolto in sede penale – Gillet prosegue la sua carriera in A con il Bologna e il Torino. Lascia il calcio italiano nel 2015, con il rammarico di non aver mai sanato la frattura con la tifoseria del “San Nicola”.

Thierry Henry (attaccante, Francia)

Nell’inverno del 1999, la Juventus campione d’Italia in carica prova a rilanciarsi con un attaccante che ha appena vinto il Mondiale con la Francia: il 21enne Thierry Henry, in arrivo dal Monaco. Chi meglio di lui per sostituire l’infortunato Del Piero in attacco? E invece, Marcello Lippi si ostina a schierarlo sulla fascia sinistra, snaturandone completamente le caratteristiche. Appena 3 gol in 16 presenze e un addio burrascoso ai bianconeri in piena estate. Per la definitiva consacrazione, citofonare monsieur Arsène Wenger.

Stranieri in Serie A, Joseph Jordan (attaccante, Gran Bretagna)

Durante una partita di allenamento con la seconda squadra del Leeds, il centravanti Joe Jordan rimedia un brutto calcio in bocca, perdendo all’istante quattro denti. L’incidente tempra lo spirito del calciatore scozzese, da allora soprannominato The Shark, lo squalo. Un vorace predatore delle aree di rigore? Sì e no, a giudicare dai suoi trascorsi con il Milan – che affidò a lui le chiavi dell’attacco per due stagioni, dal 1981 al 1983 – e il Verona, dove cederà il posto al danese Preben Elkjaer, il centravanti dello scudetto del 1985.

Alexander Lalas (difensore, Stati Uniti)

Gli States irruppero sulla ribalta calcistica internazionale nel 1990, quando la Nazionale guidata da Bora Milutinovic partecipò al Mondiale italiano. Tuttavia, la febbre del soccer divampò in occasione della Coppa del Mondo a stelle e strisce del 1994, cui partecipò anche il difensore Alexi Lalas. Che, poche settimane più tardi, avrebbe vestito la maglia del Padova neopromosso in A. Bravo difensore (due reti in 44 partite), eccellente chitarrista, con 8 album all’attivo.

Stranieri in serie A, Kazuyoshi Miura (attaccante, Giappone)

Il 1994 è anche l’anno dell’esordio di un calciatore giapponese nel fu «campionato più bello del mondo»: Kazu Miura firma per il Genoa allenato da Franco Scoglio. In una stagione disgraziata per il Grifone, condannato alla retrocessione in B proprio dal Padova, Miura lascia il segno soltanto una volta nel derby di metà dicembre contro la Sampdoria. Da vero highlander del pallone, il 56enne Kazu è ancora in attività: i nostalgici possono ammirarlo nella seconda divisione portoghese.

Darko Pancev (attaccante, Jugoslavia/Macedonia del Nord)

Il Marakanà di Belgrado stravede per questo cannoniere implacabile e famelico che ha portato la Stella Rossa sul trono d’Europa appena prima della guerra dei Balcani: Darko Pancev, 27 anni, è la più grande attrazione del calciomercato del 1992. Il presidente dell’Inter, Ernesto Pellegrini, non bada a spese pur di aggiudicarselo: contratto quadriennale da 2 miliardi di lire a stagione. Il tandem d’attacco con Totò Schillaci promette scintille, ma Pancev si rivela ben presto scostante e inconcludente, anche a due passi dalla porta. 3 gol in tre campionati: la mesta parabola del Cobra diventato Ramarro.


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