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Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen

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Prima la debacle di Vox in Spagna, poi il ko degli alleati polacchi, in Europa la Meloni deve sostenere la von der Leyen per un altro mandato

UN ATTIMO dopo la fine dello scrutinio in Polonia, nel Transatlantico di Montecitorio i parlamentari più vicini a Giorgia Meloni hanno iniziato a scuotere la testa. «Il vento non è cambiato, governeranno ancora popolari e socialisti», mormoravano compulsando i dati che provenivano dalla Polonia. La frenata del più grande alleato in Europa dell’inquilina di Palazzo Chigi, il Pis di Mateusz Morawiecki, non poteva che essere accolta così dalla war room di piazza Colonna.

PIANI EUROPEI DI MELONI STRAVOLTI

Non a caso Meloni resta in silenzio. Segno che il contraccolpo è arrivato forte alla porta della presidente del Consiglio. Le opposizioni interne rumoreggiano: «Le conseguenze ci saranno – sbotta l’eurodeputata Pd Irene Tinagli – e le vedremo alle prossime elezioni europee. Intanto è evidente uno stop alle ambizioni di Meloni, che voleva ribaltare l’asse dell’attuale maggioranza, traguardo che da oggi appare ancor più difficile. Il partito nazionalista ed euroscettico di Kaczynski PiS, e con lui la propaganda di Morawiecki, ha fallito: non c’è maggioranza per formare un governo».

Non è un periodo fortunato: la sconfitta a luglio di Vox alle elezioni spagnole è stato il primo campanello d’allarme, ora lo stop degli alleati polacchi. Qualcosa non funziona. Urge cambiare strategia. Si tratta di risultati che ridimensionano le ambizioni di Meloni, che fino a poco tempo fa era convinta di ridisegnare gli equilibri europei: di conseguenza cambiano i programmi. La premier si ritrova isolata a Bruxelles, perché i conservatori oggi non hanno i numeri per ribaltare il risultato delle precedenti europee. Per di più Meloni se la dovrà vedere con Matteo Salvini, libero di portare avanti la sua opposizione estremista grazie alla crescita dei suoi alleati: da Marine Le Pen in Francia ad Afd in Germania. Ed è vero che da qui in avanti Meloni punterà a diventare la terza forza del Parlamento europeo con l’Ecr, scalzando i liberali di Renew. Ma per fare cosa? Non si capisce quale possa essere la strategia. «Se non si allontana dalla destra più estrema, Giorgia resta con il cerino in mano» è la tesi dei più moderati dentro FdI.

La premier si aspettava risultati diversi in Polonia e Spagna, così da preparare la scalata ai vertici europei. Numeri che oggi i conservatori non detengono, né tantomeno potrebbero ottenere alleandosi con i sovranisti. Ragion per cui Meloni è costretta ad archiviare definitivamente l’ipotesi di una grande alleanza di destra in Europa. Tutto questo porta Tajani, uno dei leader del Ppe, a ridere sotto i baffi. Anche perché i popolari risultano il primo partito in Polonia. «Donald Tusk – sorride il vicepremier – è stato presidente del Partito popolare europeo, una garanzia, ho già lavorato con lui, quindi per me la sua vittoria è un fatto positivo: la Polonia è un Paese dell’Unione, amico dell’Italia. Se sarà lui il primo ministro, sarà per me e per Forza Italia un fatto positivo, noi europeisti crediamo in un’Europa protagonista, che possa avere anche una forte presenza della Polonia».

LE NUOVE PROSPETTIVE: MELONI E UN VON DER LEYEN BIS

Se si ferma l’onda sovranista, si apre un nuovo capitolo che può vedere Meloni in una nuova veste, cioè alleata di Ppe e socialisti. «La Polonia è tornata, come partner ragionevole, nell’Unione europea, e così si apre un nuovo capitolo nei rapporti tra Varsavia e Bruxelles» osserva Manfred Weber.

E Meloni? Giorgia resta ancora silente, ha bisogno ancora di tempo per studiare la contromossa più adatta. La campagna elettorale è ancora lunga. Prima ci sarà da sistemare una serie di questioni interne – come la Finanziaria – e di carattere europeo e internazionale: dal Mes ai migranti, dal conflitto Russia-Ucraina all’annosa questione Medio Oriente sfociata nel durissimo attacco di Hamas a Israele. Tutti dossier che stanno pian piano avvicinando Fratelli d’Italia all’establishment europeo. La legge di Bilancio nel segno della responsabilità e della prudenza va in questa direzione. Così come il cambio di approccio sulla ratifica della riforma del Fondo salva Stati, su cui ormai l’Esecutivo sembra deciso a dare il via libera. Tutto questo non si tradurrebbe in un’alleanza organica con socialisti e popolari, perché significherebbe sconfessare anni e anni di battaglie politiche. Ma si potrebbe tradurre in “almeno” un appoggio esterno all’Esecutivo europeo che nascerà dal voto di giugno.

In questi mesi Meloni ha costruito un rapporto solido con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. La Meloni inoltre ha avuto una postura allineata ai popolari europei, è stimata dai vertici del Ppe e sarebbe pronta a votare un von der Leyen-bis, con la possibilità di scegliere di sostenere i singoli provvedimenti più vicini alle istanze dei conservatori. Non è certo un caso se proprio Carlo Fidanza, capodelegazione di FdI al Parlamento europeo, ha elogiato la presidente della Commissione: «Di fronte agli attacchi di questi giorni e alla loro evidente connessione con fallimentari politiche di integrazione e di gestione dell’immigrazione, ben vengano le parole di Ursula von der Leyen». Insomma, sostenere von der Leyen per un bis sarebbe una mossa per che di sicuro farebbe infuriare gli altri membri della famiglia dei conservatori, ma che allo stesso tempo darebbe un altro standing a Meloni.


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