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IL PESO dei conflitti, gli strascichi pandemici, l’incombenza dell’inflazione… e il rischio di un altro inverno alle prese col carovita per le famiglie per la sovrapposizione di questi elementi, tutto questo pesa nella manovra di bilancio. La prospettiva, oggi come avvenuto nel 2022 e prima ancora nel 2021, è tutt’altro che rosea in vista dell’anno che verrà. E questo nonostante la promessa di garantire alle fasce più deboli i mezzi reali per venir fuori dal pantano della crisi che, conti alla mano, ha finito per intaccare i risparmi dei cittadini, propensi al fondo di emergenza in tempi di Covid nonostante il conseguente rischio di stagnazione dell’economia. La prudenza ha consentito di scavalcare l’ondata della pandemia, lasciando però in eredità un tessuto economico sempre più logorato dagli eventi geopolitici i quali, vista l’imponenza e la celerità, hanno impedito di assorbire la frenata imposta dal coronavirus e di imbastire un vero piano di ripresa.

Una premessa valida per le Leggi di Bilancio degli anni precedenti e, anche se si sperava che la situazione fosse diversa, anche per la seconda del governo Meloni, quella con orizzonte 2024, sgravata dall’annoso problema della riforma delle pensioni ma costretta a fare letteralmente i conti con un impoverimento progressivo della classe reddituale medio-bassa. La speranza, all’alba del 2023, era quella di ritrovarsi, trascorsi ulteriori dodici mesi, a ragionare su scenari in qualche modo riequilibrati. L’oscillazione dei mercati, in effetti, aveva trovato una sorta di stabilità tra luglio e settembre, consentendo alle famiglie di tirare il fiato almeno per quel che riguarda i costi base, dalla spesa alimentare a quella per le utenze. Quest’ultima soprattutto la più suscettibile all’innalzamento o all’abbassamento dell’asticella dei costi. Ma, se il perdurare dell’inflazione era in qualche modo previsto – con aggravio sulla capacità di spesa, specie per le famiglie più giovani –, la nuova escalation in Medio Oriente ha sorpreso un po’ tutti, in particolare alla luce dei nuovi accorti raggiunti per il rifornimento di materia prima, necessari allo sganciamento dalla dipendenza russa.

Il risultato è che, sostanzialmente, ci si è ritrovati al punto di partenza. Anche per questo, almeno sulla carta, l’occhio di riguardo della ventura Legge di Bilancio cade giocoforza sulle famiglie. Provate dalla riduzione della capacità di spesa e dal conseguente – e più o meno stabile – aumento dei prezzi. Oltre che gravate da una combinazione di fattori che ha reso i nuclei più economicamente instabili maggiormente soggetti al confronto col peso psicologico degli eventi. Eppure, nonostante un iter blindato e una stroncatura netta arrivata dalla Cgil, che addirittura minaccia lo sciopero, il piano da 24 miliardi sembra effettivamente guardare verso il basso. Ossia nella direzione delle famiglie con prole e redditi più bassi, con rafforzamento delle dotazioni per i bonus relativi all’infanzia (a partire da quello per gli asili nido) e con la conversione dei contributi previdenziali a carico dello Stato per le mamme lavoratrici.

Nel primo caso, nella manovra si parla di uno stanziamento da 150 milioni per l’anno prossimo, destinati alle famiglie che sostengono una retta per far frequentare ai propri figli una struttura privato o pubblica. Una branca della più ampia dotazione da un miliardo destinata alle famiglie numerose e a quelle in formazione, allo scopo di porre un freno alla discesa progressiva del numero dei figli nel nostro Paese. Ancora una volta, si cercherà di sostenere i redditi più bassi, con un contributo variabile da 1.500 a 3 mila euro l’anno tenendo conto del valore Isee. Fondi che, tuttavia, non dovrebbero incidere sull’Assegno unico – come invece si era vociferato – i cui parametri dovrebbero restare, nel 2024, gli stessi del 2023. Confermati, invece, gli sgravi fiscali per le aziende che assumono le mamme. Beneficio che, se da un lato si traduce nell’onere dei contributi previdenziali per lavoratrici con due o più figli, dall’altro consente una busta paga più pesante per le stesse. Nonostante le pressioni sindacali, con la Cgil che critica duramente il ritocchino al taglio del cuneo fiscale che, a detta del sindacato, «si limita a confermare le buste paga che i redditi fino a 35 mila stanno già percependo» e producendo benefici effimeri con l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef, la Manovra ha incassato il consenso delle Regioni, propense al piano soprattutto in virtù delle misure per sanità e trasporti.

È chiaro che anche l’attuale manovra, così come le altre, dovrà dimostrare sul campo l’efficacia delle proprie misure: è pur vero, però, che il momento storico non sembra premiare le famiglie, col rischio concreto che gli incentivi siano più palliativi che cure vere e proprie. Anche perché resta complicato lo sganciamento dei giovani dal nucleo familiare originario, considerando le difficoltà oggettive nel conciliare stipendio percepito e richieste economiche per l’acquisto di un immobile di proprietà. Del resto, la Bce resta ferma sulla propria politica relativa ai tassi di interesse (anche se gli analisti prospettano un possibile ammorbidimento da qui ai prossimi mesi), soprattutto quelli variabili, la cui impennata ha tirato per la giacca anche le famiglie che avevano superato lo step dell’ottenimento del mutuo, intaccando (e non poco) i capitali. In sostanza, se l’obiettivo di sostenere le famiglie esistenti può essere raggiunto applicando nella manovra (o rafforzando) agevolazioni mirate sulle spese da sostenere, quello di favorirne di nuove potrebbe essere compromesso ancor prima di partire. Con tempi allungati e conseguente effetto domino sulla natalità e sull’impiego del denaro. Sempre secondo la logica della prudenza.


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