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Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni

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Il bagno di realtà di Giorgetti sui requisiti previdenziali collegati alle speranze di vita da cui dipendono rating sovrano italiano e negoziato europeo sul debito non placa il gioco demagogico al massacro di Salvini con la farsa aggiuntiva di quota 103 più carica di penalità della quota 104 fatta annullare. Siamo impantanati dentro una manovra di corto respiro perfino obbligata, mentre dovremmo impegnarci sulla riqualificazione della spesa pubblica e sulla accelerazione degli investimenti pubblici e privati che danno un orizzonte al Paese.

Non c’è più la clausola di sospensione del patto di stabilità e crescita europeo e tutto quello che verrà sarà solo un bagno di realtà per l’Italia. Un bagno di realtà che la costringe a ridurre da subito i margini di agibilità fiscale e la obbliga a lavorare seriamente in modo unitario su ciclo di riforme, investimenti e crescita con lo scopo dichiarato di rendere sostenibile il debito pubblico.

Finisce quest’anno lo smontaggio delle regole europee e non depone di certo bene il caos della manovra italiana su lotta all’evasione, pensioni e cedolare secca sugli affitti brevi che è fatto di altrettanti montaggi e smontaggi dentro una manovra tutto sommato molto piccola di 24 miliardi con una quota peraltro rilevante di extradeficit. Stride il caravanserraglio politico per una manovra approvata in un’ora e presentata come segno di compattezza della maggioranza che dopo quindici giorni non arriva in Parlamento, ma sulla quale c’è stata battaglia politica sui prelievi dai conti correnti degli evasori fiscali conclamati prima annunciati e poi azzerati.

Soprattutto una manovra sulla quale si assiste al solito teatrino della politica dove si gioca sui numeri delle pensioni sostituendo quota 104 con quota 103 così carica di penalità da essere ancora più pesante di quota 104 solo per continuare a consentire a Salvini di dire l’esatto contrario della verità in un gioco al massacro demagogico che brucia la credibilità italiana e fa il male di tutti. Una manovra nella quale si inserisce, per fortuna, la clausola dei requisiti previdenziali collegati alla speranza di vita che è il punto su cui la Commissione europea e le agenzie di rating non transigono.

Per cui il ministro dell’Economia leghista Giorgetti dovendo scegliere tra la demagogia del suo capo partito, Salvini, e il tentativo di salvataggio del rating e del negoziato con la Unione europea sulle pensioni si schiera dalla parte giusta. Sceglie, stando all’ultima bozza e facendo gli scongiuri che resista fino alla fine, il cammino obbligato della realtà rispetto ai sentieri surreali inventati dalle esigenze della politica demagogica. Non cambia l’impostazione riformatrice sulle pensioni anticipate per garantire la sostenibilità del debito pubblico e si azzerano sostanzialmente in modo progressivo le deroghe alla legge Fornero che ritorna alla sua versione più completa e più hard perché il rating sovrano italiano, l’Europa e il debito pubblico, contano più di Salvini.

Diciamo che si vedono i segni di una bella battaglia tra le esigenze della realtà e le esigenze della politica anche se il rumore mediatico italiano provvede a coprire sempre tutto. Il punto chiave è, purtroppo, che emerge una certa debolezza di leadership perché se si chiede di non presentare nemmeno un emendamento e si litiga perfino sugli affitti brevi la compattezza è almeno scalfita, ma ancora di più fa fatica ad emergere quale è la visione di politica economica della destra di lungo termine.

Si accentua nei fatti questa forte differenza tra la statura in politica estera della nostra presidente del Consiglio che ha oggi una posizione di guida tanto inaspettata quanto reale nel mondo occidentale e parallelamente di una gestione travagliata di piccole cose di politica interna e di una manovra di cui si discute fuori luogo così animatamente visto che non risponde a nessun cambio di incisività di politica economica e si limita a confermare per un altro anno misure già in essere. Non c’è nessuna prospettiva e nessun orizzonte che delineino un disegno impegnativo di crescita di lungo termine di cui si ha peraltro vitale bisogno, ma il nulla della manovra basta a determinare competizione interna con Giorgetti che fa invece giustamente i conti con il nuovo patto di stabilità e crescita europeo in arrivo.

Che vuol dire misurarsi con il problema fondamentale del nostro programma di finanza pubblica che non riduce il debito a fronte di una richiesta tedesca di una diminuzione minima annua di un punto di Pil contro quella di altri dello 0,5% e noi che invece ci presentiamo con un impegno scritto sulla carta dello 0,1% che non ci mette in modo credibile nelle condizioni di fare nessun tipo di negoziato. Anche rispettare le indicazioni del nuovo patto sul deficit è problematico perché dall’anno prossimo fino al 2026 siamo sempre sopra il 3% previsto e ci siamo, per di più, auto assegnati una correzione monstre per il 2026 di 7 miliardi irrealizzabile senza che questa piccola grande furbizia non basti a sterilizzare il casino politico ai massimi all’interno della maggioranza, nelle opposizioni e nei sindacati in un momento in cui servirebbe invece il massimo di coesione nazionale.

Non per fare questa manovra di sinistra da 24 miliardi che è il massimo possibile nella situazione data, ma per fare invece i calcoli giusti con il livello di ipoteche che ci stiamo mettendo addosso da soli sui conti e per rompere l’assenza di uno sforzo corale che affronti i nodi strutturali della politica di sviluppo.

Siamo impantanati nel passaggio di una manovra di così corto respiro e perfino obbligata, mentre avremmo il dovere di uscire in fretta dal pantano per superare il doppio bivio della storia che è quello della riqualificazione della spesa pubblica e dell’accelerazione sugli investimenti pubblici e privati che sono due obiettivi di lungo termine che danno un orizzonte al Paese. Si pensa solo a superare lo scoglio della manovra senza porsi il problema che dopo non siamo nelle condizioni di navigare come vorremmo con il nuovo patto europeo e che dobbiamo fare prima, non dopo, alcune scelte nette e che dobbiamo anche saperle comunicare bene all’esterno.


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