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Il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Attilio Nostro, durante l'omelia a Paravati

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Ha scelto il giorno dell’anniversario della morte di Natuzza Evolo il vescovo Attilio Nostro per lanciare la sua esortazione a ribellarsi alla mentalità della ‘ndrangheta e avviare una “rivoluzione vera”

MILETO (VIBO VALENTIA) – «Qual è il peccato più grande in cui ci possiamo imbattere? La mancanza di intelletto, non usare il cervello. Dio ci ha dato un cervello per poter ragionare e noi tante volte non ragioniamo». E poi «perché nello slancio che dovremmo avere nell’amare gli altri sentiamo che ci stanno delle zavorre. Perché quando facciamo la carità ci pesa molto di più di quanto dovrebbe? Cos’è che zavorra i nostri gesti di amore?». Semplice: «La mancanza di gratuità, perché speriamo di ricevere qualcosa. Se facciamo un gesto d’amore ci chiediamo se questo è funzionale a ricevere qualcosa».

Il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Attilio Nostro, nel giorno che per la liturgia cattolica ricorda tutti i santi del paradiso e che per i devoti di Natuzza Evolo ne ricorda il passaggio alla vita eterna, avvenuto il 1° novembre 2009, punta a richiamare i fedeli a saper utilizzare il dono dell’intelligenza che Dio ha fatto all’uomo e ad amare senza attendersi un ritorno, in modo gratuito.

NELL’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI NATUZZA L’ESORTAZIONE A SEGUIRE “I SENTIERI DEL SIGNORE”

A Paravati, principale frazione di Mileto e terra natìa della donna di fede, in una chiesa del Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime colma nei suoi posti a sedere, il 14esimo anniversario della morte di Natuzza Evolo è, per il pastore della diocesi, l’occasione per invitare tutti a percorrere le vie del Signore nel segno della santità e nel solco tracciato dall’esempio di Natuzza Evolo.

Una esortazione che parte spingendo i fedeli a riflettere sul sacrificio di Gesù Cristo morto in croce e sull’amore verso l’uomo che lo ha spinto ad accettarlo. Il vescovo Nostro, però, ricorda come «noi quando la Croce bussa alla porta della nostra vita, spesso ci lamentiamo, ci arrabbiamo, ci sorprendiamo». E «ogni volta che non rispondiamo all’amore di Dio riduciamo la Croce ad una barzelletta. Ecco perché è importante il pellegrinaggio, perché significa lasciare la propria vita e camminare nei sentieri del Signore che sono diversi, sono nuovi, sono santi».

RIBELLARSI ALLA ‘NDRANGHETA E ALLE SUE “COSE ASSOLUTAMENTE SATANICHE”

Ma il vescovo di Mileto non perde l’occasione per stigmatizzare il male più devastante che affligge la Calabria: la ‘ndrangheta. Quella «‘ndrangheta che tiene bloccata la nostra provincia, la nostra diocesi, la nostra regione, i nostri figli, a non avere alcun progresso. E si fregiano anche di immagini cristiane per dare ancora più valore alle loro cose assolutamente sataniche».

Tuttavia il messaggio del presule non consente equivoci: non bisogna ritenersi solo vittime o spettatori spesso inerti. Perché per il vescovo Nostro è il momento di cambiare, di ribellarsi alla ‘ndrangheta. «È la nostra mentalità – spiega – che li aiuta, ogni volta che non ci ribelliamo al pizzo, ogni volta che non ci ribelliamo alle minacce, ogni volta che non ci ribelliamo a questa mentalità dove è meglio non pagare lo scontrino, non pagare le tasse, non pagare la spazzatura. Ogni volta che noi favoriamo questa mentalità favoriamo la ‘ndrangheta che non è certamente al servizio né dell’uomo né di Dio. Beato è colui che rispetta il creato, beato è colui che rispetta le leggi, beato è colui che è libero da qualsiasi appartenenza».

Il presule ricorda a tutti, tentando forse anche di infondere coraggio nel percorrere un cammino diverso e nuovo, che «noi siamo la maggioranza. Quelli che desiderano che la Calabria sia libera siamo la maggioranza». E allora «come mai non abbiamo la meglio su pochi? Forse perché stiamo dormendo? Forse perché ci accontentiamo a volte della devozione in Cristo piuttosto che di appartenere a Cristo? Di essere uomini e donne che veramente combattono questo sistema? Forse sì».

DIO COME MEDICINA PER SUPERARE IPOCRISIE E INDIFFERENZE

Per superare questo torpore, quindi, «abbiamo bisogno della medicina e – spiega Nostro – la medicina è l’eucarestia, la Parola di Dio, che scoperchi la nostra ipocrisia, il nostro perbenismo, la nostra indifferenza a volte rispetto a queste manifestazione del male che per noi sono normali. Non è così, non sono normali, non siamo nati per questo». Per il pastore della diocesi Dio terrà conto di tutto e non basterà invocare un santo per salvarsi perché «è qui che dobbiamo fare ammenda, e qui che dobbiamo dirci la verità, che non sempre siamo stati onesti, corretti, non sempre abbiamo difeso il povero».

L’ESORTAZIONE DEL VESCOVO NOSTRO A RIBELLARSI PER LA “RIVOLUZIONE” CONTRO LA ‘NDRANGHETA

Ma «la Calabria è piena di esempi meravigliosi, dovrebbe risplendere come risplende la Luna in cielo riflettendo la luce del Signore». La figura di Natuzza «è di enorme conforto», una donna che ha passato «tanto tempo ad ascoltare e ascoltare e ascoltare migliaia di persone», un «segno dell’accoglienza di Dio. Quanti di noi – si chiede il vescovo – si sono sentiti amati, riconosciuti, restituiti alla propria dignità da una semplice donna. E cosa può fare ciascuno di noi se diventa come Natuzza uno strumento in mano a Dio? Ma noi facciamo la rivoluzione, ma quella vera, non quella che lascia sul campo dei morti ma che fa sorgere un sacco di gente nuova, viva, rinata».

«Ma questo miracolo meraviglioso dell’accoglienza e dell’ascolto non è possibile se il cuore di Dio non entra nel nostro e se il nostro cuore non entra nel cuore di Dio. Se non ci sincronizziamo con il suo desiderio viscerale di entrare in ogni casa, come faremo a portarlo in casa?. Ecco perché la festa di oggi è una festa che non è soltanto per i santi ma è per tutti noi perché tutti noi siamo chiamati a questa santità, nessuno è escluso».

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