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Se si andasse in campo libero con il vecchio patto e senza nuove regole sostanziosamente modificate, allora metteremmo le chiavi del Paese direttamente nelle mani delle agenzie di rating e dei mercati come fu nel 2011. Di fronte a questo rischio meglio alcune buone regole di compromesso che ci danno flessibilità e qualche piccolo fastidio, ma ci mettono in sicurezza. Perché, a differenza di allora, oggi la Bce ha uno strumento dedicato. Le regole permettono di capire che il Paese fa le cose adeguate e la banca centrale può attivare il programma a sostegno di chi rispetta le regole e rischia di essere esposto a incidenti che non dipendono dai suoi comportamenti. Diverso è se le nuove regole sono una camicia di forza

I rigurgiti ragionieristici tedeschi sul nuovo Patto di stabilità e crescita europeo sono fuori dalla storia e riflettono la pressione di una doppia crisi, economica e politica, di carattere sistemico che la Germania sta vivendo dopo l’uscita di scena della Merkel e i carri armati russi in Ucraina che hanno cambiato il quadro geopolitico e determinato la guerra mondiale delle materie prime. Ha fatto molto bene il ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti, a ricordare a tutti che non viviamo in una situazione normale e che gli investimenti legati alla transizione ambientale e alla difesa non possono non essere tenuti fuori dal computo dei nuovi parametri.

Molto si deve ancora fare sul calcolo della spesa per interessi del debito ai fini delle valutazioni del rapporto deficit/Pil perché le situazioni cambiano molto da Paese a Paese e, non essendoci un titolo sovrano comune, non si possono usare i tassi di interesse come moltiplicatori delle distorsioni e freno alla crescita che è la sola, reale, garanzia per la sostenibilità del debito pubblico italiano come di quello francese e di altri ancora.

Alla lunga, per essere chiari, l’effetto distorsivo si avrebbe sull’intera Europa ed è comunque davvero di rara miopia, mista a un’arroganza non più sostenuta da adeguata credibilità, la volontà tedesca e dei suoi alleati di mettere all’ultimo momento sopra accordi già condivisi di flessibilità nuovi elementi comuni di restrizione dei margini di azione su deficit e debito esclusivamente per dare un contentino alle proprie opinioni pubbliche interne.

Di fronte a trame così poco lineari è necessario che funzioni finalmente il gioco di squadra tra Francia, Spagna e Italia, non tra la Francia che parla prima con la Germania poi con la Spagna e poi con l’Italia. Lo spirito deve essere quello solidale del debito comune post Covid e deve segnare un passo in avanti reale rispetto alla zoppìa tra stabilità e crescita del patto fondativo europeo che di certo ha indebolito il vecchio continente come player globale.

Detto tutto questo, i giorni che ci separano dall’intesa finale saranno tutti segnati da una grande battaglia su questo o quel dettaglio e noi dobbiamo fare gioco di squadra con gli alleati giusti perché il peso di valutazioni di assoluto buon senso finiscano con il prevalere. È, tuttavia, abbastanza importante essere consapevoli che è un valore in sé chiudere questa fase di incertezza e che alla fine ci sarà un compromesso con qualche regola che ci piace e qualche altra regola che ci piace meno. Sapendo, però, che l’alternativa alle regole sono i mercati che possono essere molto più devastanti e crudeli di quelle regole se non si riuscisse ad ottenere in extremis un’improbabile prosecuzione della sospensione di tutto che, al momento, appare complicata anche se non si può escludere nulla.

Se si andasse in campo libero con il vecchio patto e senza nuove regole ovviamente sostanziosamente modificate, allora metteremmo le chiavi del Paese direttamente nelle mani delle agenzie di rating e dei mercati. Di fronte a questo rischio meglio alcune buone regole di compromesso che ci danno flessibilità e qualche fastidio, ma ci mettono comunque in sicurezza.

Perché l’alternativa, alla fine, sarebbe una sola: chi compra i titoli sarà lui a decidere e quando questo è accaduto in passato, proprio perché si pensava che le regole non funzionassero, è stato il disastro. È stato così nel 2011 quando le regole non c’erano e mancavano gli strumenti perché la Banca centrale europea potesse esercitare la sua azione calmieratrice. E’ ovvio che se il nuovo Patto si rivelasse una camicia di forza peggiore di quello precedente non potrebbe che essere rifiutato.

Ciò che invece bisogna sempre avere in mente è che oggi la Bce, con tutti i suoi strabismi, esiste e ha anche uno strumento dedicato. Quando ci sono le regole che permettono di capire che siamo in presenza di un Paese che fa le cose adeguate, allora la banca centrale può agire, può dimostrare di esistere e attivare il programma dedicato che con il sistema nuovo è nelle condizioni di fare interventi a sostegno del Paesi che rispettano le regole e rischiano di essere esposti a incidenti che non dipendono dai loro comportamenti.

È la Bce che ha oggi in pancia molti dei titoli sovrani italiani che nel 2011 erano detenuti direttamente in mani estere. Come abbiamo sperimentato a nostre spese nella vicenda della Bei, come non dovrà avvenire nel Patto di stabilità e crescita, ai fini del nostro rapporto con la Bce che è cruciale per l’elevatezza della spesa per interessi sul debito pubblico italiano, diventa decisivo il peso politico dell’Italia.

Un peso politico che conta e viene rispettato se ha alle spalle una stabilità che esprime alleanze e scelte coerenti con la nuova Europa e se conquista un tasso di partecipazione delle opposizioni alle sfide del sistema Italia tale da determinare coesione ed essere un modello per l’Europa di risoluzione della crisi globale della sua politica. Quanto sia importante per raggiungere questo obiettivo contare su un dibattito della pubblica opinione italiano all’altezza della sfida è davvero importante, ma qui siamo dentro un rumore così assordante da non potere nemmeno cogliere i tanti segnali che ci indicano che cosa stiamo perdendo a causa di questo rumore.


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