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Serve a poco o niente la missione europea. A guadagnare sono Tangeri e Rotterdam, ma l’Europa intera, anche l’Olanda, rischia inflazione da costo di materie prime con il conseguente nuovo caro tassi e il Mediterraneo da opportunità storica di crescita europea ne diventa un limite. L’Italia paga la caduta del commercio globale, ma anche la perdita di entrate fiscali. Si sospenda subito la tassa ambientale europea che non si paga nei porti africani né in America né in Asia e si usino, al massimo livello, le leve diplomatiche con effetti concreti e, solo se inevitabili, quelle militari

Una missione europea che si limita solo a scortare le navi serve a molto poco o addirittura a niente. Può essere un elemento di deterrenza, ma con efficacia limitata e ristretta. Ripetiamo: serve a molto poco o addirittura a niente. Quello di cui si ha urgentissimo bisogno è un’azione diplomatica fortissima e, solo se inevitabile, militare, assumendo però ad horas tutte le decisioni economiche che riducono i costi diretti delle lunghe circumnavigazioni e quelli indiretti che combinati possono fare molto male.

Perché fuori dall’area politica protetta dagli attacchi degli Houthi come è quella cinese, la realtà di oggi è che nessuno si azzarda a fare passare dal Mar Rosso né una nave passeggeri né una nave cargo perché nessuna scorta può garantire imprenditore, persone e merci. Dalla situazione di oggi guadagnano solo il porto marocchino di Tangeri e quello olandese di Rotterdam, Venezia e Trieste sono cancellati, il Pireo pure, mentre ancora per un po’ grazie ad Aponte tiene Gioia Tauro, ma quello che dovrebbe tutti preoccupare in modo serissimo al punto da non fare dormire la notte è altro.

Perché se continuano il blocco del canale di Suez e la crisi del Mar Rosso, è reale il rischio che l’Europa si riprenda l’inflazione da costo di materie prime con il delicatissimo conseguente nuovo caro tassi e che il Mediterraneo da unica opportunità storica di nuova crescita per l’intera Europa diventi invece un limite solo proprio per l’Europa stessa. L’Italia paga il conto salatissimo della caduta del commercio globale che è un dazio onerosissimo per import ed export essendo noi un Paese esportatore privo di materie prime e trasformatore. L’Italia paga anche un altro prezzo, di cui nessuno parla, che riguarda la perdita di entrate fiscali conseguente alla caduta dell’Iva legata ai commerci con un miliardo in meno subito e 14 in prospettiva.

Per l’Italia significa il ritorno del circuito perverso inflazione-caro tassi-rallentamento della crescita-minori entrate fiscali. Uno scenario da incubo, ma l’intera Europa nel breve e, ancora di più, nel medio termine rientrerebbe nella stessa spirale. Per questo non si può perdere neppure un istante. Riunisca d’urgenza Parlamento e Commissione e sospenda subito la tassa ambientale europea (ETS) che non si paga nei porti africani né americani né asiatici. La tassa è entrata in vigore da inizio gennaio in misura mitigata, ma gradualmente è destinata a salire nel silenzio di tutti, produce danni subito e più grandi in prospettiva perché incide sulle aspettative e sulle scelte di mercato.

Oggi, anzi ieri, l’Europa usi, al massimo livello, le leve diplomatiche e, solo se inevitabili, quelle militari. Non si può non seguire l’azione di americani e inglesi perché questa crisi del mar Rosso è un elemento aggiuntivo devastante di tensione che non può non indurre tutti a porre in essere azioni diplomatiche con effetti concreti immediati. Bisogna sostenere in ogni modo la spinta di Biden su Netanyahu perché blocchi l’orrore nella striscia di Gaza che è l’unica decisione diplomatica possibile per fermare l’Iran e i bombardamenti in partenza dalle basi Houthi in Yemen. Altrimenti non resta che seguire la strada militare di inglesi e americani anche se ovviamente nessuno può realisticamente sapere se è la cosa giusta perché il rischio di un’ulteriore escalation militare è assolutamente reale e ogni scelta a questo proposito deve essere molto ponderata. Siamo su un crinale davvero scivoloso.

Il calcolo più dettagliato di quello che succede lo avremo ai primi di febbraio. Per Trieste e Venezia ci sarà di certo un effetto diretto su import ed export che determina a sua volta un miliardo di minori entrate fiscali. Se la situazione si protrae i danni riguarderanno anche Gioia Tauro e tutto il sistema portuale del Sud italiano. D’altro canto, il porto africano di Tangeri è già diventato una calamita per le compagnie e quello olandese di Rotterdam, nonostante il carico enorme di maggiori costi di trasporto e di assicurazione, lo è altrettanto.

L’effetto della crisi del Mar Rosso significa, per capirci, costo carburante in più perché il percorso è più lungo, costo più elevato delle assicurazioni, più navi in servizio da parte delle compagnie per un ritorno più veloce con ulteriori oneri. Tutto questo insieme di costi aggiuntivi derivanti dalle circumnavigazioni lunghe obbligate si va a cumulare con quello della tassa ambientale europea (ETS) che a regime fa in modo che ogni trasporto costi milioni di euro in più ed incide sulle aspettative e sulle scelte di mercato per i traffici marittimi. L’insieme di tutti questi maggiori oneri ricade per intero sulle imprese esportatrici italiane e fa correre all’Europa il rischio capitale di vedere risalire l’inflazione facendo di nuovo schizzare i tassi e mettendo in crisi l’orientamento imboccato di una nuova politica di tassi discendente.

Saremmo all’inferno totale e, per evitarlo, vanno domate subito le fiamme. Anche perché si rischia di mettere in un angolo uno spazio di mercato e di opportunità di crescita, legati al Mediterraneo, che la nuova situazione geopolitica aveva messo in campo. Questa partita riguarda il mare Nostrum e noi Italia con il nostro Sud in prima fila. O si trova il modo di operare subito con tutte le possibili leve – diplomatica, economica e, se inevitabile, militare – o il Piano Mattei diventa carta straccia e l’Europa tutta rischia in modo capitale. Questa è la cruda realtà, il resto sono chiacchiere


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