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DA UN lato l’impegno del governo sull’accelerazione della spesa del Pnrr e la riorganizzazione della gestione delle risorse europee affidata, quest’ultima, alla riforma della politica di coesione che dovrebbe arrivare con un decreto legge sul tavolo del Consiglio dei ministri entro marzo; dall’altro il braccio di ferro tra il ministro degli Affari Europei, Raffaele Fitto, e le Regioni sulla rimodulazione dei fondi per la sanità, e la richiesta dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Ubp) di una maggiore chiarezza sulla destinazione delle nuove risorse e sui definanziamenti operati dall’esecutivo nell’ambito della rimodulazione del Piano.

Sono i temi su cui si è incentrato il dibattito di fronte alla Commissione Bilancio della Camera in occasione delle ultime audizioni sul dl Pnrr Quater. Accelerazione della spesa e implementazione delle riforme, ha affermato il ministro Fitto, sono le sfide che attendono il governo sul fronte Pnrr. Entrambe guardano anche oltre il 2026, in quanto sulla messa a terra delle risorse e sulla qualità della spesa si gioca anche la partita del debito monstre del Paese, che i 122 miliardi della quota a debito dei fondi europei portano ancora più su. Pertanto spingere su una spesa che sia di qualità “è una strada obbligata per intercettare la crescita e rientrare dal debito. Diversamente ci sarebbe una difficoltà oggettiva come sistema Paese per reggere un andamento lento della spesa”. Alle riforme è affidata la possibilità di creare le condizioni per dare continuità ad alcune misure oltre l’orizzonte fissato da Bruxelles.

“Avere un grande finanziamento una tantum e riprendere a giugno 2026 come si faceva prima, senza avere i soldi del Piano, sarebbe un approccio sbagliatissimo e assurdo. Perché se dal primo luglio non c’è la copertura finanziaria rischiamo di aver vanificato lo sforzo fatto finora”, ha sostenuto il ministro chiudendo il ciclo di audizioni sul dl Pnrr quater che, anche grazie a un nuovo pacchetto di semplificazioni, mira a spingere la spesa che per ora ammonta a circa 45 mila euro, a fronte di un incasso pari a 102 miliardi al 31 dicembre 2023.

Un obiettivo “sfidante”, soprattutto considerando quella “indubbiamente molto alta” prevista nei prossimi tre anni, come ha sottolineato la presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), Lilia Cavallari, che durante l’audizione in Commissione ha fatto il punto sull’impianto finanziario del decreto. “Tutti siamo molto consapevoli che 3 anni sono un orizzonte breve per spendere così tanti soldi, ma – ha detto Cavallari – l’assegnazione di queste risorse a progetti è molto avanti. Indubbiamente è sfidante realizzare tante spese in tre anni, ma questo decreto va nella direzione di cercare di rendere più spedita l’attuazione”. Per il ministro “è verosimile pensare che nel prossimo anno, anno e mezzo, due, avremmo una risposta importante in termini di implementazione della spesa”, dal momento che molti progetti hanno superato la fase della progettazione e della gara e passano ora a quella dell’esecuzione dell’opera”. Intanto, ha sostenuto, “l’ambizione per il nostro Paese dovrebbe essere quella di far sì che la straordinarietà nella capacità di accelerare, semplificare e spendere possa rappresentare una regola nella futura gestione dei fondi, al di là da dove provengono e quali siano”. Un obiettivo che dovrebbe trovare una sponda importante anche nella riforma della Politica di coesione che proprio che il governo intende approvare con un decreto entro marzo.

La revisione del Piano, con la rimodulazione delle risorse e il definaziamento di alcuni interventi, intanto resta al centro del dibattito. Se l’Upb, nel corso dell’audizione alla Camera, ha rilevato che “le informazioni sui progetti e sulle rimodulazioni che sono entrate e uscite non sono del tutto esaustive”, sottolineando la necessità che “nel nuovo Def siano disponibili le informazioni accurate sul profilo anno per anno e sul profilo per composizione di voce economica di queste rimodulazioni”, in modo di “capire come si muovono i saldi di finanza pubblica”, gli enti locali hanno messo nel mirino i tagli alla sanità che toglierebbero alle Regioni 1,2 miliardi di euro. Risorse che, ha assicurato il ministro Fitto, sono ampiamente compensate dalle coperture trovate nell’ultimo decreto per velocizzare l’attuazione del Pnrr. In particolare le Regioni chiedono lo stralcio del comma dell’articolo 1 del dl che “cancella risorse già assegnate alle Regioni da fondi Pnc (Piano nazionale per gli investimenti complementari) per circa 1,2 miliardi di euro”, ha spiegato il coordinatore della commissione sanità della Conferenza delle Regioni, Raffaele Donini. Sarebbero “investimenti che sono già cantieri” e gare assegnate “che necessitano di liquidità”, ha sottolineato Donini, secondo cui la soluzione sostitutiva individuata dal governo è di fatto “inesistente”. Si tratta del cosiddetto “ex articolo 20”, il fondo dedicato all’edilizia ospedaliera creato alla fine degli anni Ottanta, che nelle intenzioni del governo dovrebbe andare a finanziare il progetto “Ospedale sicuro” uscito dal Pnrr dopo la revisione.

Polemiche infondate per il ministro Fitto: “Continuare a parlare di tagli non corrisponde al vero, nel dl Pnrr abbiamo, con bollinatura della Ragioneria, finanziato tutti gli interventi che sono stati spostati dal piano o definanziati”, ha ribattuto, entrando anche nel dettaglio del contestato fondo sull’edilizia ospedaliera. “Ci sono 2 miliardi non ancora impegnati”, ha detto, senza nascondere che esiste un problema “per quelle Regioni che hanno utilizzato tutte le risorse articolo 20”. Ma per queste situazioni il governo ha deciso di “garantire il mantenimento nel Pnrr o Pnc per l’intera copertura dei progetti”. Anche per l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) la copertura ex articolo 20 va verificata assieme alle Regioni: “Ci dovrebbe essere capienza”, ha detto la presidente Lilia Cavallari, ma “se era stata programmata in altro tipo di interventi, le Regioni lo sanno”.

La questione sarà oggetto di una verifica con le Regioni, insieme al ministro della Salute, Orazio Schillaci. Ancora senza copertura tra i progetti definanziati, intanto, secondo il quadro tracciato dalla presidente dell’Upb, ci sono tra gli altri “le linee ad alta velocità che collegano il Nord all’Europa, le connessioni diagonali e gli investimenti per le rinnovabili”, mentre sono state garantite per i Piani urbani integrati (1,6 miliardi) e i porgettiti relativi all’uso dell’idrogeno (1).


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