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POTENZA – Era il 15 giugno 2006 quando il Potenza passò nelle mani di Giuseppe Postiglione, allora 24 enne. In città era noto soltanto come figlio di Bonaventura, per gli amici Nino, istrionico editore che ha fatto fortuna con le frequenze radiofoniche e televisive. E’ al Mediafor, nei pressi di piazza Bologna, la sede della conferenza stampa in cui la scalata al 62% delle quote societarie viene resa pubblica. Siedono al suo fianco Luigi Calluori – che passa la mano e resta socio di minoranza – e l’avvocato Simone Labonia, consulente legale di entrambi. Nell’amichevole agostana contro il Foggia, giocata al Viviani, Postiglione scende sul campo durante l’intervallo e annuncia al microfono l’avvenuta acquisizione del rimanente 38per cento delle azioni. Il Potenza inizia il campionato con al timone un solo proprietario, che ha alle spalle il sostegno della famiglia. Calluori rientrerà a stagione in corso, ma soltanto da sponsor assai remunerativo. I risultati sul campo furono subito più lusinghieri che mai, una squadra costruita intorno ai potentini Nolè e Lolaico parte fortissimo e arriva a giocarsi il campionato con Sorrento e Benevento. Radio Potenza Centrale e TeleCento – emittenti della casa – cantano le gesta di un gruppo divenuto vincente quando la guida tecnica passa da Franco Dellisanti a Pasquale Arleo. L’inizio di un matrimonio bello e tormentato, che arriverà al divorzio. Con i tifosi è idillio: Postiglione va sotto la curva a festeggiare la vittoria contro la Pro Vasto, indosso ha una maglietta che inneggia all’articolo 21 della Costituzione e alla libertà di espressione. Maglietta distribuita dagli stessi gruppi organizzati. La stagione finirà con l’apoteosi di Benevento, 17 giugno 2006. Davide veste rossoblu e batte Golia, la corazzata allestita dal presidente sannita Oreste Vigorito, guarda caso anche lui soggetto in questi giorni ad arresto cautelare per altre vicende. Ma una macchia c’è: voci mai confermate parlano di una gara sospetta, Potenza – Sorrento della penultima di campionato. I costieri vinsero, ma una papera del portiere Signorile (era la riserva) insieme all’esclusione a sorpresa di Nolè fecero pensare a male. Sui muri della città comparve la scritta: “una partita decisa in partenza non ha valore per chi ama il Potenza”. Le illazioni vogliono che Postiglione si sia venduto la partita, ma il ritorno in Prima Divisione dopo tredici anni spazza via tutte le chiacchiere, in ogni caso mai accertate. I titoli dei giornali nazionali all’alba del nuovo campionato omaggiano il miracolo Potenza, una squadra capace di vincere le prime tre partite e conquistare un primato solitario che fa sognare chi ha qualche capello bianco e ha visto la B. Ma è fuoco di paglia. Le testate nazionali parlano di Potenza – Samb, quando al triplice fischio finale segui’ il terzo tempo di ispirato dal rugby. Il 20 aprile è la domenica di Potenza – Salernitana, di una mattinata da incubo all’Hotel Vittoria, del telefonino di Ciro De Cesare scagliato contro il patron. Il giorno prima, altre scritte avevano tormentato la vigilia. “Presidente – si legge davanti allo stadio – i soldi non fanno la felicità. Vincere!” I tifosi pensano nuovamente ad una partita venduta, Postiglione e il Potenza dal lungo iter della giustizia sportiva ne escono vivi e cadono in piedi. Crolla l’accusa di illecito, derubricata a slealtà sportiva per la sola esclusione dalla formazione titolare di Cuomo, De Cesare e Cammarota. Ma la parabola discendente di Postiglione diventa irreversibile, nonostante la salvezza sul campo. Arleo in panchina già non c’era più. Dall’estate dei processi riemerge una squadra ricostruita per azzerare subito la penalizzazione. Il patron accusa anche i giornalisti, per lui alimentano la cultura del sospetto. Nella gara interna contro il Gallipoli gli fa trovare la tribuna stampa chiusa. L’impresa di risalire la classifica si rivela difficile, con il solito viavai di allenatori in cui rientra anche Arleo, destinato però a non terminare la stagione. L’epilogo è amarissimo, con la retrocessione e le polemiche che il patron – affiancato dall’amico e sponsor Rosario Pellegrino – prova a spegnere rilanciando. E’ l’estate appena trascorsa, quella del ripescaggio e dell’entusiasmo alimentato da una squadra allestita a suon di nomi “quando a Potenza non voleva invece venirci nessuno”. Citazione di Eziolino Capuano, l’allenatore capopopolo voluto da Postiglione per riallacciare i rapporti con una tifoseria stanca e contestatrice. La risalita viene festeggiata dal patron come la vittoria del campionato dei bilanci. Ma il recupero di popolarità svanisce in poco tempo. L’inizio del torneo in corso è stentato, la partita contro il Marcianise – quella dell’esonero di Capuano – fa vociferare di nuovo i bar. Lo stesso Capuano è ascoltato in tribunale, poi tornerà a sedersi in panchina. Il presidente rimedia intanto un premio fair play per l’accoglienza riservata ai tifosi del Ravenna. La vita di Postiglione ha corso a mille all’ora. A 27 anni già tre figli e un bel po’ di cose da raccontare. Al primo approccio col calcio professionistico è stato eletto consigliere di Lega, un attestato di fiducia e speranza. Ma squalifiche e ammende da quel momento non sono mancate, fino a rendere oggi il Potenza non certo ben visto nel Palazzo. Era partito con le spalle coperte dal gruppo di famiglia, per arrivare quest’anno a rompere pubblicamente i rapporti aziendali con il padre e il fratello buttandosi nell’avventura di una holding che porta il suo nome. In quattro anni si è dimesso, è tornato in sella e si è disimpegnato. Non è più andato allo stadio dal 19 ottobre (Potenza-Cosenza, ndr) e il giorno successivo svelò di aver sentito sul suo conto le chiacchiere più infamanti. “Mi hanno accusato di tutto – dichiarò – tranne che di essere pedofilo”. In quell’occasione Postiglione rinfacciò ai tifosi organizzati minacce alla serenità della sua famiglia, decisive per fargli maturare il proposito di allontanarsi dal Potenza. Finisce invece lontano dalla sua città, costretto a un esilio forzato sotto scorta. Le minacce le ha ricevute, ma non dai tifosi. Postiglione paga i rapporti incauti con esponenti della criminalità organizzata. Rapporti che hanno finito per metterlo sotto scacco. La ricattabilità distrugge, nello sport come in politica.

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